Il
Il mistero del Duino
Argomento: Storia : Moderna Data: 1/2/2009

File0051 L’otto febbraio del 1942, il piroscafo Duino scomparve al largo di Bari. I soccorsi partirono con due giorni di ritardo ma solo tre corpi vennero ritrovati. I naufraghi soccorsi su due scialuppe frono appena 44. Da allora la faccenda è finita nel’oblio. Nonostante le ricerche compiute da alcuni sub privati, il relitto non è mai stato individuato, le cause della tragedia mai chiarite e quei 170 uomini morti dei quali si ignora persino l’identità, non sono mai stati commemorati.

Articolo di Nicolo Carnimeo e di Pasquale Trizio apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno il 10 agosto 2008 - Anno 121 n. 220




Duino
Unica foto del piroscafo Duino

La scheda della Duino

ANNO DI COSTRUZIONE
= 1923
LUNGHEZZA = 68.75 m
LARGHEZZA = 10.50 m
ALTEZZA = 7.09 m
MACCHINE = 2 turbine a vapore da
1900 hp
ELICHE = 2
CONSUMO = 25.8 tonnellate al giorno
VELOCITA MASSIMA = 13.5 nodi
STAZZA LORDA = 1.344 lordi
PORTATA LORDA = 1.735
STIVE = 3X562 me
PASSEGGERI IN CABINA = 85
* La «Duino» venne impiegata dapprima sulla linea Trieste - Zara - Gravosa - Venezia
0 A giugno del 1937 prese la linea 44 Bari -Durazzo e successivamente effettuò alcuni viaggi straordinari. Il 3 marzo 1938 coprì le linee di collegamento Rodi - Piscopi - Stampalia, Rodi -Castelrosso, Rodi - Caso.
* Dal 1 gennaio 1940 fu spostata sulla linea Bari - Barletta - Manfredonia - Tremiti - Rodi Gar-ganico - Lagosta.
* Nel settembre 1940 effettuò viaggi straor­dinari con partenze regolate direttamente dalle Autorità, poi riprese la linea fino a febbraio del 1942.
* II 7 febbraio 1942 partì per un viaggio speciale, diretta a Cattare dove imbarcò truppe militari che rientravano in Italia e non fece più ritorno.

 
LA SCOMPARSA
Il Duino al comando del ca­pitano di lungo corso Mario Olivotto di Mestre sarebbe dovuto arrivare alle 19.00 dell'8 febbraio 1942 nel porto di Bari. Era par­tito da Cattaro nell'attuale Montenegro in orario alle sei del mattino con a bordo 44 persone di equipaggio, 12 militari del C.R.E.M. (Corpo Regio Equi­paggi Militari Marittimi) e 161 passeggeri.
Ma alle dieci di sera del pi­roscafo dell'Adriatica di Navi­gazione non si avevano notizie: il Comando Marina ritenne fos­se l'ennesimo ritardo, abbastan­za frequente in quel periodo e dovuto alle condizioni di carena della nave che di lì a qualche giorno sarebbe dovuta andare in cantiere. Il meteo segnalava mare agitato, scirocco teso, cielo coperto e una cattiva visibi­lità. A mezzanotte la nave non c'era ancora, ma nessuno pensò ancora ad un incidente, l'ipotesi più plausibile era che avesse avuto una avaria e fosse tornata al porto di partenza.
La mattina alle nove Marina Bari telegrafò a Marina Teodo a Cattaro per chiedere notizie, passarono ben 20 ore senza ri­cevere alcuna risposta sino a quando alle 4.10 del 10 febbraio un laconico messaggio confer­mava solo l'avvenuta partenza, ma del Duino li non c'era trac­cia. La mattina del 10 a quasi tre giorni dalla scomparsa inizia­rono le ricerche, dal Montenegro e da Bari si alzarono alcuni velivoli che ripercorsero la rotta adriatica del piroscafo, vennero allertate le stazioni di Vieste e Lagosta. Niente. L'esplorazione aerea riprese l'I! febbraio con una foschia densa e insidiosa che costrinse i ricognitori a vo­lare a 50 metri di quota, ma sen­za risultati, neppure si avevano notizie dalle stazioni semaforiche, dai convogli in arrivo o in partenza e dagli aerei in ser­vizio. Dal Duino non era partita nessuna richiesta di SOS. La na­ve sembrava sparita nel nulla.
Era quasi l'imbrunire, il mare scuro dello scirocco stava per essere inghiottito dal buio quando il comandante dell'An­na Martini diede l'allarme.
Erano partiti alle 14.30 dal porto di Bari per 63 gradi di bussola e ora si trovavano a cir­ca a 17 miglia al largo. Da due zattere un gruppo di uomini si sbracciava chiedendo aiuto. D piroscafo si accostò ai 21 naufraghi e li trasse in salvo. Erano semi assiderati dalle gelide ac­que invernali, gli abiti inzup­pati, da 72 ore non toccavano né acqua né cibo. Alcuni dei nau­fraghi pregarono di continuare le ricerche, dovevano esserci al­meno altre due zattere, le ave­vano viste allontanarsi dopo il naufragio.
Ma ormai si era fatto buio, il mare muggiva e faceva rollare l'Anna Martini che a macchine ferme beccheggiava tra le onde, il comandante decise di ritor­nare al porto di Bari e dare al più presto assistenza ai naufra­ghi. All'alba del 12 febbraio la torpediniera Insidioso l'R.D.22, due motovedette e un aereo fe­cero rotta verso la zona del ri­trovamento. Questa volta fu l'R.D.22 ad avvistare altre due zattere. A bordo c'erano 23 nau­fraghi e un cadavere, che non aveva retto alle 100 ore in balia del mare.
L'ultima traccia del Duino fu trovata il 22 febbraio sulla costa di Otranto, il mare gettò sulla battigia i rottami di una scia­luppa e due salme una delle qua­li del macchinista navale Ranieri.
 
 
LA RICOSTRUZIONE
Nel 1942 l'Adriatico era mi­nato e vi erano dei campi di sbarramento sia di fronte alle coste dalmate che a quelle di Bari. Non ci sono notizie di co­me fu condotta la navigazione, ma si deve presumere che il Dui­no sia uscito dagli sbarramenti minati a Nord di Cattaro e abbia diretto sulla rotta «sicura» ver­so Bari. Il piroscafo procedeva più lentamente del solito sia per le condizioni della carena che per la scarsa visibilità dovuta alle pessime condizioni meteo, tanto che il faro di Bari - secondo alcune testimonianze dei nau­fraghi - venne avvistato solo alle 18.45 orario nel quale il piro­scafo sarebbe già dovuto essere all'imboccatura del porto. Il ri­tardo nell'avvistamento del faro sarebbe stato fatale al Duino che non avrebbe potuto calcolare per tempo il punto nave diri­gendosi così verso i campi mi­nati spinto dallo scarroccio di scirocco. Il rapporto della Marina af­ferma che il faro barese fosse in funzione già dalle 17.00, ma dal­la testimonianza rilasciata dal generale Tucci, in trasferimen­to dai Balcani a Bari ed uno dei superstiti dell'affondamento, si rileverebbe che il faro fosse sta­to, invece, accesso solo alle 18.45 troppo tardi in relazione alla lu­ce e alla foschia esistenti. Trop­po tardi per un rilevamento cor­retto in quelle condizioni me­teo. Fatto il punto nave su San Cataldo la nave corresse la rotta di approdo facendo prua su Bari, ma pochi minuti più tardi un'esplosione subacquea produsse una grossa falla a sinistra della prua. Il Duino dopo una forte sbandata a dritta affondò im­mergendosi di prora in non più di due o tre minuti. I membri dell'equipaggio si trovavano nei ponti inferiori, si stavano preparando per lo sbar­co mentre altri erano a cena sot­to coperta. Tra questi c'era an­che il radiotelegrafista e ciò spiegherebbe la mancata segna­lazione di soccorso. Mentre la nave colava a picco si salvò solo chi ebbe la prontezza di lanciar­si per tempo in mare e poi rag­giungere le zattere che si erano staccate dal ponte di coperta. Alcuni testimoni ricordano che le scialuppe di poppa, ancora appese ai paranchi e cariche di persone, non ebbero il tempo di essere calate e affondarono con la nave. I più rimasero intrap­polati nei ponti inferiori senza rivedere per l'ultima volta la lu­ce. L'Adriatico abbracciò il Dui­no in un gorgo, che risucchiò la nave con la rapidità dell'acqua in un gigantesco lavandino.
Il comandante e la quasi to­talità degli ufficiali perirono, il rapporto della Marina non con­tiene i nomi delle vittime (n.d.r. delle quali, invece, andrebbe recuperata la memoria, e per questo ci affidiamo alle vostre se­gnalazioni), riporta solo che del­le 217 persone imbarcate sul Duino risultarono salvati 44 uo­mini di cui 7 membri dell'equi­paggio civile (il secondo ufficiale di macchina, un marinaio, due giovanotti di coperta, un garzone di camera, un piccolo di cucina, un fuochista), 3 membri dell'equipaggio militare, 34 pas­seggeri di cui uno solo civile. Gli scomparsi furono 173.
 
LE CAUSE
Indagare sull'affondamento a tanti anni di distanza serve a poco, di sicuro dalla relazione del già citato generale Tucci emerge che vi furono delle po­lemiche per la poca tempestività nei soccorsi, si lasciarono imperdonabilmente passare molte ore prima di intervenire. La scomparsa del Duino venne sottovalutata e ciò è grave spe­cialmente in un periodo bellico con mille pericoli in agguato. Se si fosse arrivati sul luogo per tempo si sarebbero potute sal­vare più vite umane. Sulle pa­gine dell'epoca della Gazzetta del Mezzogiorno la notizia non venne neppure riportata per la censura militare.
L'esplosione subacquea che provocò l'affondamento può avere diverse cause: un silura­mento da parte di un sommer­gibile nemico, una mina alla de­riva oppure la mina di uno sbar­ramento. Il siluramento non può escludersi anche se non è stata avvistata dai superstiti nessuna scia o periscopio che ne rivelasse la presenza e non è emerso alcun sommergibile do­po il sinistro anche per dare soc­corso ai naufraghi come avreb­be dovuto fare in mancanza di altre unità in zona.
Più probabile è l'ipotesi di una mina, non alla deriva, ma proprio degli sbarramenti di­fensivi costieri italiani ed in particolare di quello posto a Nord del settore di avvicina­mento di Bari. Come abbiamo visto è probabile che la nave si trovasse spostata più a Nord ri­spetto alla rotta che avrebbe do­vuto seguire sia per l'effetto del­lo scarroccio del vento da Sud Est che per una errata valuta-zione della posizione dovuta al ritardo nell'avvistamento del fa­ro di Bari.
Di NICOLO CARNIMEO
 
Non furono poche le navi dell'Adriatica, come il Duino, vittime della tragedia della guerra del Mediterraneo, su quella che fu definita la «rotta della morte», e cioè il traffico mer­cantile con l'opposta sponda libica per ri­fornire di uomini, mezzi e carburanti l'ar­mata di Rommel.
Negli oltre tre anni di guerra sul mare l'Adriatica, la società del gruppo FINMARE erede della storica società Puglia di Bari e sulle cui navi la gente di mare del basso Adriatico, da Molfetta a Mola, a Bari, a Monopoli, a Giovinazzo, era imbarcata, perse ben 37 navi, il nerbo della sua flotta. Su alcune di esse, dai nomi familiari come la motonave Città di Bari, l'Egitto, l'Egeo, la Brindisi, la Monte Gargano, erano imbarcati capitani e macchinisti del glorioso Istituto Nautico di Bari ma anche no­stromi, marinai, fuochisti tutti na­tivi dei borghi marinari della Ter­ra di Bari. La maggior parte perse la vita silenziosamente, come è nella tradizione delle famiglie ma­rinare che trattengono il proprio dolore senza lasciarlo trapelare all'esterno e senza che i loro fos­sero ricordati da alcuno. Ecco le schede di alcune navi.
 
«CITTA DI BARI» -
La motonave «Città di Bari» fu requisita dalla Regia Marina il 19 giugno 1940 ed iscritta nel naviglio ausiliario dello Stato in qualità di scorta convogli navi mercantili requisite. Alle ore 10.30 del 3 maggio 1941, al comando del Gap. Carlo Oberti, la nave fu bombardata ed affondata nel porto di Tripoli. Tre componenti l'equipaggio militarizzato furono feriti, mentre cinque dell'equipaggio civile perirono: Marinaio Di Terlizzi Leonardo; Marinaio Bellomo Michele, Carofiglio Leo­nardo, Capriati Donato e Minetto Luigi.
 
«MONTE GARGANO»
II 22 agosto 1940, mentre stava dirigendo su Tobruch la «Monte Gargano» fu colpita da un lancio di siluri ed in pochissimi istanti affondò. Non si ebbero notizie dei superstiti, la cosa quasi certa è che era appesa in timoneria o in sala nautica, del ponte di comando, l'effigie di San Nicola che ha vegliato su di loro.

Barletta
Nave Barletta
 
«EGEO»
Alle ore 0.40 del 24 aprile 1941. dopo aver svolto vari servizi e mentre stava effettuando una traversata con carico militare, la nave fu attaccata da navi di superficie nemiche ed affondata a circa 80 miglia da Tripoli. Dell'equipaggio risultarono salvi 3 ufficiali, 4 sot­tufficiali e 29 marinai, gli altri furono dichiarati dispersi.
 
«ADRIATICO» -
L'Adriatico fu requisita il giorno 11 maggio 1940. Il 1° dicembre 1941, a 56 miglia da Bengasi subì un attacco di superfìcie e fu affondata. Dei 33 componenti l'equipaggio 4 risultarono dispersi o deceduti.
 
«BRINDISI»
La nave fu requisita ed iscritta nel naviglio ausiliario di Stato, e classificata come incrociatore leggero e l'equipaggio militarizzato. Da quel giorno cessarono i contatti tra la Società Armatrice e la nave Solamente più tardi si venne a sapere che la nave partì da Bari, alle ore 20.00 del 6 agosto 1943, diretta a Cattaro per un trasporto di truppe e carico militare diretti a Teodo e che, dopo circa un'ora di navigazione, ad una distanza di 8 miglia dal porto, la «Brindisi» subì un attacco e fu colpita, sul lato dritto dell'estrema poppa, da 3 siluri lanciati da un sommergibile nemico. Le esplosioni provocarono l'immediato arresto dei motori principali e l'apertura di grosse falle allo scafo, attraverso le quali, la nave iniziò ad imbarcare subito grosse quantità d'ac­qua, con la conseguente, rapida immersione della poppa fino al ponte di coperta. Dopo circa 50 minuti dal siluramento i superstiti udirono il caratteristico ru­more dello schiodamento di una paratia stagna e dopo pochi minuti videro la nave affondare definitivamen­te.
 
«ZARA»
La motonave «Zara» partì da Brindisi alle ore 13.00 del 29 ottobre 1942., diretta a Tobruk, in convoglio con la motonave «Brioni». Le due navi vennero attaccate da grosse formazioni di aerei siluranti. Alle 08.15 la Zara venne colpita in pieno da un siluro, proprio al centro della nave. I naufraghi furono raccolti dalle R. Navi San Martino e Circe e trasportati a Tobruk, dove giunsero il giorno 3 novembre 1942 e da là rimpatriati, con un trasporto aereo. Nel sinistro perirono il 3° Ufficiale di macchina Ugo Benfante, il capo fuochista Ricco Leo­nardo ed il motorista Giuseppe Granata, tutti in servizio di guardia al momento del siluramento.»

Zara
Nave Zara
 
«EGITTO» -
L'«Egitto» proveniva da Messina di scorta al mer­cantile Alessiana venne bombardata e affondata al largo di Taranto. Un primo gruppo di 18 naufraghi. I deceduti furono Spessot Romeo; Primos Giu­seppe, Repetto Giobatta. I dispersi Balelli Gino; Frezza Renzo; D'Ambrogi Cesare, Raule Leone, Turcino Argeo; De Luca Raffaele; Dobnich Angelo; Isernia Angelo Furlan Domenico, Ballaben Arturo, Mauri Attilio, Gasperini Michele, Cincopan Antonio.
Di PASQUALE TRIZIO
 
L'INTERVISTA a Domenico Stea, agente dell'Adriatica, ora Tirrenia
 
«Mio padre Raffaele mi parlava spes­so delle migliaia dei soldati che durante la guerra si imbarcavano da Bari - ri­corda Domenica Stea agente generale dell'Adriatica ora Tirrenia a Bari - l'i­gnoto nei loro volti prima di arrivare al fronte, senza sapere se sarebbero mai tornati. Alcuni venivano dall'entroter-ra e non si erano mai imbarcati. Il no­stro porto era il punto di partenza e di arrivo di tutte le divisioni anche alpine che partivano per il fronte greco - albanese».
Molte navi dell'Adriatica vennero re­quisite?
«Si, e aggiungo che portavano a bordo molti pugliesi. Quando le navi venivano militarizzate oltre al comandante civile ce n'era anche uno militare di solito un tenente di vascello della marina che aveva al comando diversi artiglieri che
servivano ad adoperare le armi imbar­cate. Le navi dell'Adriatica diventavano incrociatori ausiliari e venivano dotate di cannoni da 100/52. Servivano non solo per il trasporto, ma anche come scorta ad altri convogli per attraversare il Canale d'Otranto o il Mediterraneo sino al fronte in Africa».
E il porto di Bari?
«La guerra non segnò profondamente Bari e il suo porto nei primi anni del conflitto, le tragedie iniziarono dopo l'8 settembre. Il 2 dicembre 1943 ci fu quello che è stato definito dagli storici il più grande bombardamento aereo dopo Pearl Harbour e vennero affondati 17 "liberty" alcuni carichi dell'iprite di cui si parla ancora oggi e poi il 9 aprile 1945 l'esplosione della Charles Henderson che trasportava munizioni».
Di NICOLO CARNIMEO

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