Dopo gli iniziali grandi successi, l'Unione Sovietica si ritrovò, nel primo lustro degli anni 60, in serie difficoltà. Per mantenere il primato sugli USA si decisero perciò mosse discutibili e pericolose...
Salute e Latinum per tutti !
VOSKHOD, un progetto azzardato
L'indiscutibile successo del progetto Vostok, la capsula sovietica che per prima aveva portato un uomo in orbita, determinò a breve scadenza effetti negativi sul programma spaziale russo.
I sei voli consecutivi di questa nave monoposto si erano svolti senza problemi degni di nota, ed avevano permesso all'Unione Sovietica di acquisire un notevole vantaggio, soprattutto in termini d'immagine, sugli statunitensi. I russi sembravano imbattibili: il primo uomo in orbita (Yuri Gagarin), la prima donna (Valentina Thereskova), il primo volo 'in tandem' (due navi che volarono contemporaneamente a breve distanza l'una dall'altra), e l'ottenimento di ogni sorta di record di velocità, altezza e durata. La controparte statunitense, la capsula Mercury, sembrava in perenne ritardo, limitandosi a voli che apparentemente viaggiavano su strade già percorse dai sovietici. In verità la piccola Mercury era già una base sofisticata di sperimentazione per il futuro progetto lunare americano, mentre la Vostok era un progetto fine a se stesso, che nell'intenzione del geniale progettista capo russo, Sergey Korolev, avrebbe dovuto lasciare presto il posto alla ben più sofisticata e performante Soyuz, ovvero la nave che avrebbe dovuto portare i sovietici sulla Luna. La Vostok aveva avuto poi dei seri problemi tenuti nascosti: durante il rientro di Gagarin i retrorazzi non si erano sganciati subito, portando la capsula fuori assetto, ma tutto si era velocemente sistemato. Durante il volo della Thereskova la cosmonauta si ferì in atterraggio, tanto che le foto 'ufficiali' del suo recupero vennero fatte solo alcuni giorni dopo.
La Vostok
La controparte USA, la Mercury
La situazione.
In America, a seguito dell'entusiasmo suscitato dal noto discorso di JFK riguardo l'intenzione di conquistare la Luna prima della fine del decennio (quindi entro il 1970), ricerca e produzione lavorarono all'unisono, senza alcun problema di fondi e 'permessi'.
Furono impegnati miliardi di dollari e centinaia di migliaia di persone nel programma spaziale americano, programma già ben definito in ogni sua tappa perlomeno dal 1963.
A fronte delle (poche) critiche riguardanti l'enormità dello sforzo intrapreso, Werner Von Braun, il capo del programma statunitense, ebbe buon gioco nel sottolineare che tali soldi venivano spesi in America, dando lavoro a personale americano... L'ex nazista tedesco aveva perfettamente compreso il funzionamento dell'economia di mercato liberale !
Molto diversa la situazione sovietica.
L'intero programma russo era in mano a molte agenzie diverse, tutte rigidamente statalizzate, e generalmente ben poco disposte a dialogare l'una con l'altra, anzi... Per ottenere prestigio e riconoscimento non era strano vedere nette contrapposizioni fra le diverse equipe, con scontri che arrivavano alla delazione ed al sabotaggio (inteso come 'resistenza passiva' alle direttive superiori).
L'economia sovietica non permetteva grandi spese per la ricerca spaziale fine a se stessa, ed ogni soldo doveva essere strappato all'apparato militare, che ovviamente difendeva i propri privilegi con le unghie e con i denti. Contrariamente a quanto qualcuno può pensare, gli ingegneri e gli scienziati sovietici non furono mai inferiori a quelli americani: considerando le condizioni sfavorevoli in cui erano costretti a lavorare, questi si dimostrarono capaci di progetti eccezionali, spesso visionari, potenzialmente superiori a quanto si studiava in occidente.
Inoltre, al contrario degli americani, l'URSS non usufrui di un folto gruppo di scienziati tedeschi ex-nazisti... I pochi tedeschi 'reclutati' alla fine della guerra ebbero un impatto davvero minimo sulla ricerca, limitandosi a riprodurre alla meno peggio cloni della V2 (peraltro con scarso successo). Furono tutti rispediti a casa nei primi anni 50. Si può dunque affermare con ragione che l'astronautica sovietica fu frutto solo ed unicamente di cervelli indigeni.
Nell'ambito delle falsità proposte dalla propaganda, può essere interessante leggere 'Il bluff spaziale sovietico', un libretto scritto da un fuoriuscito, tale Leonid Vladimirov, edito in Italia dalle Edizioni Paoline nel 1976. In sostanza in questo pamplet l'intero programma sovietico viene dipinto a tinte fosche, frutto dello spionaggio e minato dalla cialtroneria. La caduta del muro, ed il conseguente arrivo di tonnellate di materiale autentico, hanno ampiamente dimostrato come l'unico vero cialtrone in mala fede fosse il suddetto Vladimirov...
Serghej Korolev, il progettista capo sovietico
La Voskhod.
Nel 1964 gli americani avevano annunciato l'imminente dispiegamento della nuova capsula biposto Gemini; questa sarebbe stata una vera e propria 'astronave', capace di lunghe permanenze in orbita e di ottime potenzialità di manovra. Soprattutto, la Gemini sarebbe stata in grado di effettuare il 'docking', ovvero l'attracco nello spazio fra astronavi: una prerogativa assolutamente necessaria nell'ambito del percorso che avrebbe portato all'Apollo e quindi alla Luna.
Korolev non aveva nulla da opporgli.
Al febbraio del 1964 la nuova Soyuz era ancora solo un mock-up (ovvero un modello in scala 1:1) in un hangar, ben lungi dall'essere in configurazione definitiva. Non parliamo poi del razzo in grado di portarla verso la Luna... L'ambizioso N1 esisteva solo sulla carta, ed avrebbe vissuto la sua effimera esistenza solo alla fine degli anni 60.
Al solito, le esigenze propagandistiche del Politburo bypassarono ogni logica.
A Korolev fu imposto di lanciare in orbita una capsula con più di un uomo a bordo, prima degli americani. Il progettista capo dovette momentaneamente accantonare la Soyuz per dedicarsi ad un progetto dettato solo dall'urgenza 'politica'. Fu subito evidente che l'unica strada possibile stava in un ampia riprogettazione della Vostok. Il progetto fu presto definito, in due diverse versioni, ed ottenne l'approvazione del Comitato Centrale del PCUS già nell'aprile 1964.
Apparve chiaro l'estremo rischio insito in questo progetto.
La Voskhod era grossomodo simile nell'aspetto alla sua antesignana, con importanti differenze.
Nella versione 3KV (tre uomini d'equipaggio)veniva eliminata la torre di fuga, ovvero il grappolo di razzi sulla capsula in grado di portare via la stessa dal missile durante i primi 40 secondi dalla partenza, nel caso si fossero verificati problemi tali da richiedere l'aborto della missione.
Tale equipaggiamento è tuttora presente sulle Soyuz, così come lo era sulle capsule americane.
L'efficenza di questo sistema, peraltro, salvò la vita a tre cosmonauti nel 1985, quando il missile che doveva portarli in orbita prese fuoco durante il countdown sulla rampa.
Il sistema di fuga della Soyuz; fondamentalmente identico quello della Vostok
Altra modifica riguardò l'eliminazione del seggiolino eiettabile.
Come è noto le Vostok non erano in grado di atterrare ad una velocità compatibile con la sopravvivenza del cosmonauta a bordo, così che questi si eiettava prima dell'impatto ed atterrava separatamente alla capsula (questo particolare è stato rivelato solo molti anni dopo...).
Per compensare fu montata una panoplia di razzi a propellente solido sulla capsula, che entrando in azione a pochi metri dal suolo erano sufficienti a permettere un atterraggio a 'velocità zero'.
Un'ulteriore batteria di razzi era collegata ai robusti cavi del paracadute.
Altra modifica pericolosa riguardò il posizionamento dei tre sedili dell'equipaggio in posizione perpendicolare al sedile originale; essendo però la strumentazione rimasta al solito posto, i cosmonauti erano si costretti a movimenti innaturali per poterli consultare.
Infine, per utilizzare al meglio il poco spazio interno alla capsula, non fu previsto l'uso delle tute spaziali per l'equipaggio... Che dovette affrontare i G della spaventosa accelerazione in partenza solo con delle normali tute anti-G da pilota di caccia.
Tali modifiche provocarono moltissime critiche fra gli scienziati del programma russo, soprattutto da parte di Kaminin, altra mente geniale 'critica' nei confronti di Korolev.
Le direttive del Cremlino erano però chiare, quindi... Ubi major...
Anche l'addestramento dell'equipaggio fu particolarmente accelerato.
Per dare una valenza al massimo scientifica al volo della Voskhod fu scelto di mandare in orbita, oltre al cosmonauta pilota, un medico ed un ingegnere aerospaziale.
Tale decisione provocò non poco malcontento negli ambienti militari, già fortemente critici nei riguardi delle scelte del Cremlino.
La Voskhod 1
Un pre-volo pieno di difficoltà.
Nei mesi che seguirono vi furono molti problemi.
L'addestramento del personale non militare fu assai difficile, sia per i tempi brevi a disposizione sia per il fallimento di test fisici; l'equipaggio cambio più volte nel corso dei mesi.
I primi test di atterraggio, con capsule sganciate da aerei ad alta quota, furono fallimentari: questo non fermò l'ottimismo di Korolev, ed un duro lavoro di modifiche risolse i difetti riscontrati.
In settembre fu lanciato il satellite d'osservazione Cosmos 45, il cui scopo principale era testare il lanciatore 'Voskhod 11A57', ovvero l'ennesima versione dell'R7, con un terzo stadio potenziato. Ad ottobre fu lanciato il Cosmos 47, ovvero una Voskhod in versione definitiva senza uomini a bordo. Vi furono pochissimi inconvenienti nei due voli, che inoltre svolsero un ottimo lavoro di sperimentazione scientifica automatica. Il sistema d'atterraggio funzionò al meglio, tanto che nell'impatto con il suolo la Voshod penetrò nel terreno di soli 9 cm !
L'intero profilo di missione della Voskhod 1
Un volo perfetto (ed uno specchietto per allodole).
In ottobre l'equipaggio definitivo era pronto per la partenza: Komorov era il cosmonauta pilota, Feoktistov il medico e Yegorov l'ingegnere.
Dopo alcuni posponimenti 'fisiologici' del lancio, questo avvenne il 12 ottobre del 1964.
La Voskhod 1 fu un successo. Volò per un giorno, percorrendo 16 orbite ed arrivando ad un altezza massima di 336 km. Il pilota, Komorov, un grande cosmonauta dal tragico destino (come vedremo in futuro), aveva portato con se un ritratto di Marx, una foto di Lenin ed una bandiera della comune di Parigi... Il tutto non a caso. La Voskhod batté infatti un altro primato: fu la prima missione in 'diretta televisiva'; l'immagine dell'equipaggio in volo raggiunse le case dei sovietici, e successivamente tutto il mondo. E' inoltre degno di nota il fatto che proprio durante la missione (un caso ? Mah...) fu 'rimosso' dall'incarico di premier Nikita Krushev, sostituito da una trojka che vedeva in Bresnev l'elemento dominante. L'equipaggio venne 'informato' in modo assai ambiguo; alla richiesta del perché il compagno Krushev non partecipasse alla diretta, fu risposto parafrasando Shakespeare (!): “Ci sono più cose in cielo ed in terra di quante ne contempli la tua filosofia”...
Al solito il volo dei cosmonauti fu fortemente pubblicizzato, con un grande ritorno d'immagine che contribui non poco a far passare in secondo piano la notizia della defenestrazione del premier Krushev. Gli americani furono molto impressionati da questo volo a tre e, ignorando la quantità di compromessi che i sovietici avevano dovuto prendersi, temerono di essere ancora una volta in grande ritardo.
Komorov, pilota della Voskhod 1, che perse successivamente la vita nel disgraziato volo della Soyuz 1. Un grande uomo
Il brillante Korolev aveva battuto gli americani una volta di più... ma i tempi stavano per cambiare in modo definitivamente sfavorevole ai sovietici nella corsa alla Luna.
La successiva missione della Voskhod fu ancora un grande successo... che per pochissimo non si tramuto in una spettacolare tragedia.
La Voskhod 2
Voskhod 2, un volo 'fortunato'.
Come abbiamo visto, in attesa dell'introduzione della ben più performante Soyuz, Korolev ed il suo staff avevano modificato ampiamente il progetto della Vostok, creando la Voskhod.
Con tale capsula, dalle molte (e pericolose) modifiche avevano inviato nello spazio per la prima volta tre uomini insieme, battendo gli americani che ancora non avevano messo in orbita il loro nuovo progetto Gemini biposto. Il buon esito del volo aveva incoraggiato i sovietici ad utilizzare ancora tale configurazione, con l'ambizioso proposito di battere nuovi record e continuare per la strada che avrebbe dovuto portare i russi per primi sulla Luna.
Tali aspettative furono tuttavia mal riposte, ed il 'quasi-disastro' della Voskhod 2 portò alla prematura fine di quest'ibrido d'emergenza.
3KD, ovvero la 'Vykhod'.
Le modifiche alla Vostok avevano portato alla progettazione di tre diverse configurazioni:
La 3KU era il modello che già aveva volato con tre cosmonauti a bordo; altre della stessa serie erano già in produzione, adattate per portare un solo uomo, ma con modifiche tali da permettere una permanenza in orbita di almeno 20-25 giorni (poi ridotti ad un massimo di 15). Lo scopo ultimo era testare la resistenza dei cosmonauti alle lunghe permanenze nello spazio, così da avere le informazioni necessarie per il tragitto di andata e ritorno dalla Luna.
Molto più interessante la 3KD. Si trattava di una Voskhod con equipaggio di due cosmonauti, dotati di tuta spaziale (al contrario dell'equipaggio della Voskhod 1); la 3KD possedeva un ingegnoso sistema per permettere la prima EVA (attività extraveicolare) della storia dell'astronautica. Si trattava di un appendice gonfiabile, una grossa camera d'aria dotata di due portelli, uno direttamente sullo spazio ed uno nella capsula. Una volta in orbita tale camera veniva gonfiata ed estesa. Il cosmonauta abbandonava la capsula entrando in tale camera, chiudendo il portello d'accesso alle sue spalle per mantenere la corretta atmosfera e pressione nell'abitacolo; successivamente la miscela ad alto contenuto d'ossigeno che costituiva l'atmosfera della camera veniva lentamente espulsa, ed il cosmonauta apriva il portello esterno per potersi infine trovare in quello che è l'ambiente più ostile ad ogni forma di vita: il vuoto cosmico.
Finita l'EVA l'intera procedura veniva eseguita al contrario, fino al ritorno nell'abitacolo del cosmonauta. La Voskhod così modificata venne in un primo momento denominata 'Vykhod' ('Uscita' in russo). Nel 1964 erano in programma nove voli Voskhod: cinque con la 3KU (dei quali almeno tre in versione monoposto da lunga permanenza) e quattro con la 3KD.
E' da notare come la Voskhod, al contrario della Gemini americana, non avessa alcuna possibilità di effettuare operazioni di Docking, ovvero di attracco fra due diverse navi. Tale importantissima capacità veniva delegata al futuro dispiegamento della nuova Soyuz.
La tuta spaziale Berkut
Soliti problemi.
Come sempre vi furono molti problemi: il genio degli ingegneri russi dovette al solito scontrarsi con i mali endemici che afflissero sempre l'astronautica sovietica, a partire dalla scarsità di budget (neppure paragonabile all'equivalente statunitense), lo scontro fra le diverse equipe di scienziati (che lavoravano a diversi progetti in contrapposizione fra loro, anziché come un orchestra impegnata in un unica sinfonia), fino ad arrivare all'estrema lentezza ed assurdità della burocrazia sovietica... un problema questo tipicamente russo, indipendentemente dalla forma di governo del paese...
Molto tempo fu portato via dalla scelta dei cosmonauti, particolare importante in quanto la nuova 'tuta spaziale' adatta all'EVA, la Berkut, doveva essere costruita esattamente sulla figura del singolo cosmonauta. Il ballottaggio fra i candidati, una decina, durò a lungo. Tutti furono comunque considerati abili alla missione, e sottoposti ad allenamenti durissimi.
All'epoca russi ed americani non sapevano come riprodurre in maniera realistica a terra le condizioni in cui si sarebbe trovato un astronauta in caduta libera nello spazio, ed i sovietici sperimentarono l'inadeguatezza dei pochi secondi di assenza di gravità simulata ottenibili all'interno di grandi aerei in caduta da alta quota. Tale tecnica, da sempre alla base dell'addestramento degli astronauti/cosmonauti (e tuttora indispensabile), era inadatta a provare tutte le lunghe procedure necessarie al cosmonauta per simulare adeguatamente l'uscita ed il rientro dalla camera gonfiabile.
Sarebbero occorsi ancora degli anni anni prima che venisse trovata una soluzione semplice ed efficace: l'immersione in grandi vasche, chiusi nella tuta spaziale, si sarebbe dimostrata perfetta per simulare adeguatamente l'assenza di gravità.
Portelli che non si chiudono.
Durante le prove a terra, con pressioni atmosferiche sempre più rarefatte, si faticò non poco per compensare adeguatamente la pressione fra la capsula, la camera ed il vuoto... tanto che nei primi esperimenti spesso il portello dell'airlock rifiutava di chiudersi. Ci vollero lunghe prove e perseveranza per arrivare al successo. Grande attenzione richiese il sistema automatico di pressurizzazione, che non doveva avere margine di errore alcuno.
A disturbare ulteriormente il lavoro dello staff di Korolev sopraggiunse la defenestrazione di Krushev, avvenuta durante il volo della Voskhod 1 (come abbiamo già visto); la nuova situazione politica determinò una certa tensione fra gli scienziati, incerti su come i nuovi 'padroni' del Kremlino avrebbero messo mano al programma spaziale. Fortunatamente non vi furono nuove ingerenze. Una nota di fastidio venne inoltre da una serie di pubblicazioni di un professore belga, il quale sosteneva che tutti i cosmonauti sovietici di ritorno dallo spazio avrebbero sofferto di una strana forma di psicosi. Questa 'bufala', probabilmente disinformazione pilotata, ebbe una certa presa sull'opinione pubblica mondiale, e causò una forte rabbia nell'ambiente dei cosmonauti.
Giustamente al vertice si decise di ignorare questa provocazione, che sparì nel nulla in breve tempo.
L'ingegnoso sistema di uscita dalla Voskhod 2
Cosmos 57.
Il 22 febbraio del 1965 venne lanciata in orbita una 3KD senza uomini a bordo, denominata Cosmos 57. Ufficialmente un semplice satellite per lo studio dell'alta atmosfera. Raggiunta l'orbita si pote osservare un corretto dispiegamento della camera di compensazione, nonché l'ottimo funzionamento della tuta spaziale vuota dentro la capsula. A seguire, pare per una serie di segnali sovrapposti inviati da due distinti punti di comando, la nave accese incidentalmente i retrorazzi e fece entrare in funzione il meccanismo di autodistruzione... Tale fallimento, al'epoca frequente per varie cause nei voli senza uomini a bordo, deve far pensare: certo le capacità di automatizzazione (e di tracciamento) dei sovietici erano allora limitate, ma è pur vero che i voli senza equipaggio, al contrario degli altri, non godevano dell'attenta supervisione della VVS (l'aviazione militare sovietica). Tale mancanza fu la causa di molti fallimenti.
Vykhod ? Niet.
Risolti i problemi uno ad uno, arrivò infine il giorno del lancio.
La denominazione Vykhod fu abbandonata, per non rivelare anzitempo agli americani lo scopo della missione, e si preferì denominare la stessa 'Voskhod 2' semplicemente.
Il 18 marzo la Voskhod 2, con a bordo i cosmonauti Pavel Belyalye e Aleksey Leonov, si alzo in volo dal cosmodromo di Baikonur.
Un guaio dietro l'altro.
Raggiunta correttamente l'orbita (con un record di altezza all'apogeo di 475 km) si iniziò la procedura atta alla prima passeggiata spaziale. Il prescelto, Leonov, raggiunse lo spazio senza problemi, e si ritrovò, primo uomo al mondo, a galleggiare in caduta libera, con la meravigliosa visione della terra sullo sfondo. Un emozione fortissima.
Dopo una decina di minuti si apprestò a rientrare nella capsula, e si sfiorò il dramma.
La storica passeggiata di Leonov
La tuta, ancora lungi dall'essere perfezionata, si era gonfiata eccessivamente, e nonostante i disperati tentativi Leonov non riusciva più ad entrare nella camera. Oltretutto era estremamente impedito in ogni suo movimento: i guanti si erano talmente irrigiditi da non poter praticamente muovere le mani. Fortunatamente Leonov era uomo di valore e ben addestrato, non si perse d'animo. Con molta fatica, seguendo le indicazioni del centro di controllo, riuscì progressivamente a ridurre la pressione interna alla tuta, fino a sgonfiarla quel tanto che bastava per rientrare a bordo. Per un pelo non rischiò di diventare anche il primo cadavere in orbita...
La durata superiore alle previsioni dell'EVA comportò inoltre, per compensazione del sistema di pressurizzazione automatico, un eccessiva percentuale di ossigeno nell'atmosfera della capsula, vicina al 50 %. Al contrario delle navi americane, con atmosfera tutto ossigeno (condizione pericolosa in se, come dimostra il disastro dell'Apollo1), le navi sovietiche usavano una miscela vicina a quella dell'atmosfera terrestre, e non essendo testate per una percentuale d'ossigeno così alta fu gravissimo il rischio di incendio fino a che il sistema di compensazione non ristabilì la condizione normale. Infine, dopo un volo durato poco più di un giorno, ci si apprestò al ritorno a terra... ma i guai non erano finiti.
Balla con i lupi.
Il sistema automatico di accensione dei retrorazzi non funzionò, costringendo i cosmonauti ad utilizzare il sistema manuale. Come detto precedentemente, i comandi della Voskhod erano poco ergonomici, essendo ancora quelli della Vostok, e costringevano i cosmonauti a contorsionismi non indifferenti per essere attivati.. L'accensione fu dunque ritardata di un orbita, e venne usato il motore principale per frenare la nave, anziché i retrorazzi siti nel muso della capsula. A peggiorare ulteriormente la situazione ci pensò il modulo di servizio della nave, che non si stacco dal modulo di rientro come avrebbe dovuto: questo causò una forte autorotazione della capsula, finché il calore dell'atmosfera in rientro non bruciò gli ultimi legami, lasciando la capsula finalmente libera. Dopo tutte queste vicessitudini, la capsula prese regolarmente terra, ma fuori rotta di 368 km, in un posto sperduto in mezzo ad una fitta foresta sugli Urali.
L'attesa dell'equipaggio fu lunga. Per quanto identificati abbastanza presto dal corpo di recupero, quest'ultimo dovette faticare alquanto per riuscire a raggiungere l'impervia zona. I cosmonauti passarono un intera notte dentro la capsula, alquanto infreddoliti, e soprattutto circondati da qualche decina di lupi assolutamente affamati...
Atterrati il 19 marzo, alle 09.02 ora locale, riuscirono a mettere piede sull'elicottero di soccorso (che dovettero raggiungere con gli sci insieme ai soccorritori) soltanto la mattina del 21.
Stop alla Voskhod.
Tale catastrofe mancata determinò la fine della Voskhod, e l'accelerazione del ben più performante progetto Soyuz. Due note curiose: i cosmonauti Leonov e Belyayev vennero messi successivamente sotto accusa dai vertici militari, per aver parlato con alcuni astronauti americani in visita a Mosca poco tempo dopo il volo. La colpa, secondo la solita paranoia sovietica, stava nel aver dato agli americani utili consigli per il loro imminente primo space-walking... fortunatamente tutto fu presto dimenticato. Altra nota: La Voskhod 3 venne comunque messa in programma, ed ufficialmente non fu MAI annullata. C'é ancora una missione Voskhod in lista per la partenza, a 40 anni di distanza dall'ultimo volo, all'astrodromo di Baikonur...
NOTE: ringrazio l'architetto DeChiara, del Mars center di napoli, per le sue impagabili illustrazioni originali. Le altre foto presenti nel testo sono da considerarsi di pubblico dominio.
Salute e Latinum per tutti !