Nei lontani anni Sessanta, nel quadro delle mie ricerche sulla storia dell’Arma corazzata in Italia, cercai di contattare qualche ufficiale che avesse prestato servizio nella Divisione Corazzata “M”, ribattezzata, dopo il 25 luglio 1943, “136.a Divisione Legionaria Corazzata Centauro”. Così, nonostante la comprensibile reticenza di molti ex militari a mettere a disposizione di terzi quanto ricordavano, venni a conoscere alcuni particolari meritevoli di approfondimento.
Nei lontani anni Sessanta, nel quadro delle mie ricerche sulla storia dell’Arma corazzata in Italia, cercai di contattare qualche ufficiale che avesse prestato servizio nella Divisione Corazzata “M”, ribattezzata, dopo il 25 luglio 1943, “136.a Divisione Legionaria Corazzata Centauro”. Così, nonostante la comprensibile reticenza di molti ex militari a mettere a disposizione di terzi quanto ricordavano, venni a conoscere alcuni particolari meritevoli di approfondimento.
Da quanto era stato pubblicato in Italia fino allora, era emersa – tra l’altro - una certa confusione in fatto di terminologia. Nel 1946, l’ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il gen. Mario Roatta, aveva scritto (1) che la Grande Unità di cui sopra disponeva di una “trentina di carri tedeschi T. IV”. A pag. 242 dello stesso memoriale, si indicavano come equipaggiati da T. IV “Tiger”, i distaccamenti di carri tedeschi in Sicilia.
La presenza in loco di questi carri era già confermata dall’evidenza fotografica, e quindi mi sembrò che egli si riferisse proprio al “Tiger”. Ma più avanti, laddove si legge della scarsa convenienza di riprodurre il T. IV in Italia (2) , fu chiaro che non lo scambiava con il carro pesante.
In séguito, però, appariva un altro memoriale, quello dell’ex Capo di S. M. della Divisione Legionaria, ten col. Giaccone (3). E anch’egli scriveva – riportando un promemoria in data 4 settembre – di carri “Tigre”.
Nello stesso errore cadrà Deakin (4), il quale riferirà, a proposito della cessione alla Milizia dei carri germanici: “alla fine di maggio giunsero 36 “Tigre” e le più recenti armi automatiche tedesche con trentatré istruttori”.
Tutto questo mi autorizzò ad inserire - sia pure con qualche dubbio ma dopo aver anche consultato un’ennesima fonte, il volume di Dollman (5) - nella mia 1.a edizione (1970) dell’Atlante Mondiale dei Mezzi Corazzati - la notizia (v. a pag, 131) che 24 “Tiger” erano stati assegnati nell’estate 1943 alla divisione “M”. La mia diminuzione, da 36 a 24, del loro numero era dovuta al fatto che avevo appreso nel frattempo della sicura presenza, sempre presso tale G. U., di 12 StG III.
Solo molti anni dopo (1995), una volta rintracciati i documenti originali presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello S.M.E., potei confermare che il Gruppo corazzato Leonessa aveva avuto a disposizione (oltre ai citati cannoni d’assalto) solo 12 Pz III Ausf N e 12 Pz IV Ausf G.
Intanto, erano state rintracciate altre carte dove si dava notizia dell’ istruzione di carristi italiani su carri pesanti germanici (6) proprio nella primavera 1943. Si volle indagare più a fondo, e l’amico dott. Guido Ronconi riuscì a raccogliere una documentazione sufficiente a confermare che tale addestramento era stato effettuato. Ma ancora si dubitava se fosse stato interrotto con la caduta di Mussolini.
Il saggio venne pubblicato sul mensile “Storia Militare” nell’aprile del 2001, suscitando notevole curiosità. Questo incoraggiò ulteriori ricerche negli archivi italo-tedeschi, condotte parallelamente da parte di Ronconi e di chi scrive, il quale, tra l’altro, era riuscito ad intervistare alcuni degli ufficiali che avevano fatto parte della “Compagnia speciale carri Tigre”. I risultati hanno portato alla pubblicazione – a distanza di cinque anni – dell’articolo appena comparso sulla stessa rivista.
Purtroppo, il Direttore della medesima non ha voluto corredare l’articolo di tutto il materiale raccolto, ritenendo che quanto relativo all’impiego del Tigre in Italia da parte germanica ed i contenuti della relazione stilata un anno dopo dall’ex comandante della Compagnia, il capitano Attilio Ferrari, non fossero di interesse.
Comunque, dal momento che sarà difficile aver occasione di tornare sull’argomento, penso che i nostri lettori gradiranno leggere nella sua interezza i risultati rimasti ancora inediti di questa non facile ricerca.
Un riconoscimento tardivo: equipaggi italiani per i "Tigre"
Com’è noto, la Germania, fino all’aprile 1943 e nonostante pressanti richieste da parte italiana sin dai primi mesi di guerra, si è sempre rifiutata di cedere all’alleato mezzi corazzati di propria produzione, limitandosi a prospettare la possibilità di costruirli nei nostri stabilimenti, ipotesi difficile a realizzarsi per diversi motivi.
Le cose sembrano cambiare dall’aprile 1943 e forse per rafforzare il prestigio ormai indebolito del suo amico personale, Hitler fa autorizzare la partecipazione di equipaggi italiani ad un ciclo addestrativo sul più pubblicizzato e potente dei mezzi corazzati germanici, il Pz Kpfw VI Tiger Ausf H, da poco al fronte e divenuto già una leggenda. La stampa lo descrive con enfasi:
"Il “Tigre”. Questo carro, il più moderno mezzo da combattimento del mondo, realizzato dall’ingegneria e dall’abilità costruttiva germanica coadiuvata dall’esperienza dei nostri carristi, ha appena fatto la sua comparsa al fronte. Prua e fianchi sono pesantemente corazzati e il peso di questo colosso d’acciaio si aggira sulle 60 tonnellate. Considerevoli sono la sua autonomia e la capacità di penetrazione del suo grosso cannone."
Così, infatti, si esprime sul N. 16 (8 aprile 1943) del Berliner Illustrierte Zeitung, la didascalia di una immagine che rivela ufficialmente all’opinione pubblica l’esistenza di questo nuovo carro pesante, la cui entrata in servizio dovrebbe ristabilire la superiorità dei corazzati tedeschi sul fronte orientale. In realtà, il carro è entrato in linea da quasi un anno, precisamente dall’aprile 1942, ed è stato impiegato, irresponsabilmente alla spicciolata, nei pressi di S. Pietroburgo (allora Leningrado), prima città-simbolo accanitamente difesa dai sovietici. Effettivamente, al momento resta ancora il mezzo da combattimento più potente del mondo: mobilità, armamento e protezione sono perfettamente bilanciati, ancorché la sua sagoma, con la prua a gradino e le pareti verticali dello scafo e della torretta appaia di concezione ormai superata in un’epoca in cui già ci si orienta in favore di una protezione inclinata, soprattutto frontalmente.
Il “Tigre” si conferma comunque un capolavoro di tecnologia carrista: nei ventiquattro mesi di produzione, dal luglio 1942 all’agosto 1944, gli interventi di miglioria – specialmente quelli destinati ad aumentarne l’affidabilità e a semplificarne la manutenzione – come si vedrà, saranno marginali: l’armamento, il cannone da 88/56 (una versione particolare del pezzo adottato pure in Italia dall’artiglieria contraerei) resterà invariato; soltanto le due batterie di nebbiogeni e i tre lancia-mine S verranno successivamente sostituiti da un mortaio per difesa ravvicinata in torretta atto anche al lancio di fumogeni. Di altre piccole modifiche si dirà in séguito.
I nuovi teatri d’impiego renderanno superflui i filtri antisabbia ad olio Feifel; inutile si rivelerà inoltre il dispositivo per guadi profondi, quella specie di snorkel a cannocchiale che caratterizza le prime serie costruite. Collaudato con successo per il passaggio in immersione del fiume Fulda nel 1942, esso non sarà mai utilizzato in azione.
Il numero degli esemplari di questo carro presso i reparti non sarà mai elevato, a causa della complessità della sua produzione: non si potranno superare – e nei tempi migliori (anche perché sugli stabilimenti Henschel di Kassel-Mittelfeld si accanirà l’offesa aerea ”alleata” con oltre 120 attacchi) - i 120 esemplari al mese, per arrivare nel 1944 alle complessive 1357 unità consegnate (numeri di scafo da 250001 a 251357).
Come già anticipato, nonostante le favorevoli premesse per il “Tigre”, verrà ripetuto sotto certi aspetti l’errore commesso dagli inglesi con i primi Tank nel settembre 1916: i pochi esemplari impegnati vanificheranno la sorpresa. L’impazienza delle autorità politiche porterà ad impegnare la nuova arma in quantitativi inadeguati, su terreni inadatti e senza un chiaro disegno operativo. I risultati saranno trascurabili: non basta più dimostrare di possedere un carro da combattimento in grado di distruggere qualsiasi mezzo avversario dell’epoca ad oltre 2000 metri di distanza (qualora ovviamente il terreno e la situazione lo consentano), e cioè fuori della portata dei cannoni avversari. E’ necessario dimostrare (o almeno far supporre) che se ne posseggono in quantitativi tali da incidere sull’esito di una battaglia.
Certamente i tecnici germanici sono consapevoli che anche il carro più sofisticato, in determinate circostanze, può essere vittima di un pezzo controcarro, pur se di calibro non eccessivo; può essere arrestato da una mina o dall’offesa aerea oppure, ancora più banalmente, da un guasto meccanico che nemmeno per il “Tigre” si può a priori escludere. Ma soprattutto, e questo è quanto avviene per la 1.a compagnia del 502° Reparto, quando si “inaugura” un’arma segreta, bisogna fare attenzione che nessun esemplare possa cadere a breve nelle mani del nemico in modo da farne scoprire i punti deboli.
E questo invece, e puntualmente, si verifica: uno di questi carri resta sul terreno il 22 settembre 1942, non si vuole (o forse non si può) farlo saltare e quindi lo rivedremo, poco tempo dopo, e ovviamente dopo essere stato oggetto di accurato esame dei tecnici sovietici, esposto a Mosca insieme ad altre ghiotte prede belliche.
Queste improvvide iniziative si aggiungono ai comportamenti degli equipaggi, non sempre dettati dalla prudenza. Si tenga presente che i reparti “Tigre”, forzatamente in numero limitato, autonomi e impiegati come truppe suppletive d’armata sono, nei primi tempi, affidati a personale veterano della specialità, dall’elevato spirito di corpo ed eccessivamente sicuro di sé, il quale è spesso portato a commettere delle imprudenze convinto com’è della propria esperienza e dell’invulnerabilità del mezzo. I comandanti sono facilmente portati a derogare dalle modalità d’impiego, le quali prevedono che i carri pesanti siano preceduti da carri medi modello 3° o 4°, col compito di individuare ed impegnare gran parte degli obiettivi, lasciando ai “Tigre” la missione di agire contro quelli particolarmente “duri”, come si direbbe oggi.
In sostanza, i carri medi devono appoggiare l’azione dei carri pesanti e soprattutto “vedersela” con la fanteria nemica.
Con il tempo ed in base alle esperienze acquisite, maggior cura sarà riservata all’addestramento dei reparti “Tigre” (numerati da 501 a 510) che saranno progressivamente formati, e, in caso, più volte ricostituiti mantenendo la stessa numerazione. Ma si commettono altri errori: poco dopo il deludente esordio sul Fronte russo – per adempiere alla promessa fatta al Maresciallo Rommel prima del disastro di el Alamein – due di questi reparti, il 501 e 504, ma incompleti (soltanto 32 carri) vengono dislocati in Tunisia dove, malgrado i numerosi successi, finiranno per essere annientati. Due esemplari verranno catturati pressoché intatti e portati uno alla School of Tank Technology britannica e l’altro negli Stati Uniti ad Aberdeen Proving Ground. Esaminati con la massima attenzione e oggetto di dettagliate monografie, permetteranno agli avversari di ricercarne i punti deboli e di prendere le opportune contromisure.
Nella campagna d’Italia
Dal settembre 1943 all’aprile del 1945 ben poche saranno comunque le compagnie corazzate tedesche dotate di “Tigre” che contrasteranno nella Penisola l’avanzata degli “alleati”, nonostante la contemporanea e successiva memorialistica scriva di “Tigre”… dappertutto. In realtà, esse si limiteranno alla 3.a/508 (16 carri) ed alla 2.a/504 che ha perso in Sicilia tutti i carri, compresi gli 8 ricevuti prima dello sbarco, a causa di avarie spesso di poco conto o per mancanza di mezzi di recupero e che riuscirà a traghettarne in Calabria solo uno. Successivamente, dopo lo sbarco a Salerno, il 504° Reparto verrà completato e insieme con il 508° Reparto, riequipaggiato gradualmente a partire dal febbraio 1944 con “Tigre” di più recente produzione, continuerà a combattere arretrando lentamente dalla Toscana fino al Po. Altri 27 “Tigre” della SS-Leibstandarte Adolf Hitler, che avevano passato il Brennero il 1° agosto 1943 nell’imminenza della capitolazione italiana, lasceranno l’Italia Settentrionale, senza ovviamente partecipare a qualsiasi azione bellica, nel successivo ottobre per schierarsi sul fronte orientale l’8 novembre dello stesso anno. Di quelli in precedenza citati, come già avvenuto in Sicilia, buona parte non andranno perduti in combattimento ma dovranno essere abbandonati e sabotati. I motivi vanno ricercati senza dubbio nel terreno difficile ma soprattutto nella mai abbastanza deprecata penuria di carri soccorso (7). L’impiego dei “Tigre” in Italia, a differenza che nell’Europa Settentrionale, risulterà così fallimentare che il Ministro Speer addirittura proporrà di interrompere la produzione del carro stesso.
Eppure le buone qualità del carro non possono essere messe in discussione. Ciò che è mancato è stata la realizzazione, intorno al “Tigre”, di un vero e proprio sistema d’arma. Primo errore, il non aver studiato sin dall’approvazione del progetto un carro ferroviario per il suo trasporto strategico. Quando se ne costruiranno, rimarrà insoluto il problema della sagoma ferroviaria, per cui il veicolo, per salire sul pianale SSyms a 8 assi da 60 tonnellate appositamente studiato, dovrà cambiare i cingoli con altri di larghezza inferiori e smontare le 4 ruote esterne da una parte e dall’altra.
L’operazione prevede l’impiego dell’intero equipaggio, del verricello del trattore semicingolato da 18 t, di funi e carrucole, per circa un’ora. I cingoli da combattimento vanno poi arrotolati e poggiati – sempre con la gru del semicingolato da 18 t - sul pianale stesso, sul quale due lunghe travi in legno sono avvitate lungo l’appoggio dei cingoli stretti per evitare ogni movimento laterale del veicolo, mentre cunei lo fermano nel senso longitudinale. Ogni treno, al passaggio delle Alpi, che comporta tratti in pendenza, non può comprendere più di quattro carri SSysm, intervallati da altri due pianali con i veicoli di servizio, gru a portale ecc.
L’operazione inversa di cambio cingoli deve essere naturalmente effettuata alla stazione di scarico. Inutile dire della necessità di piani caricatori e di apposite rampe.
L’autonomia pratica – nonostante la propaganda – è inferiore a quanto previsto (60 Km in terreno vario) a causa dei forti consumi: frequentemente si vedono carri “Tigre” con fusti di carburante fissati sulla copertura del motore; è prescritto che le colonne non devono comprendere altri veicoli (i carri non devono essere sottoposti a frequenti cambi di marcia); prudenza vuole che vadano evitati lunghi trasferimenti, specie ad alta velocità, per ridurre l’usura di motori e cingoli; le unità devono essere accompagnate da specialisti del genio per il rinforzo dei ponti e da officine mobili con rifornimenti e ricambi in proporzione alle esigenze immediate.
Ma ancor più grave resta il non avere previsto, come si farà presto con il “Pantera”, un apposito Bergepanzer e cioè uno scafo di carro privato di torretta e dotato di un potente verricello. Al contrario, si sarà costretti a ricorrere allo sforzo congiunto di tre semicingolati da 18 t, oppure tentare il rimorchio mediante un altro carro similare, inadatto però a sostenere un tale sforzo prolungato senza conseguenze.
Tutto ciò conferma l’affrettato impiego della nuova arma, per di più senza preventive esercitazioni d’insieme, che senza dubbio avrebbero evidenziato tali gravi carenze.
Invece, per quanto concerne il carro in sé, ancorché lo scafo e la torretta non presentino lamiere inclinate e la prua sia realizzata a gradino, la protezione sarà sempre giudicata eccellente, come pure l’armamento e l’abitabilità interna (il “Tigre” è più spazioso del Leopard 2 di cinquant’anni dopo). Dotato inoltre di una buona ventilazione, di un avanzato sistema automatico antincendio e di facile guida, sarà giudicato più maneggevole ed affidabile del “Tigre II” che lo sostituirà sulle linee di montaggio nel 1944.
La validità del progetto è confermata dai limitati interventi apportati durante la produzione: il primo “Tigre” risulta pressoché identico all’ultimo prodotto. Con l’abbandono dell’Africa, come si è detto, saranno eliminati i filtri antisabbia Feifel (8) ; dal maggio 1943 il motore da 650 HP sarà sostituito con uno da 700 (HL230O45). Nel luglio successivo, la cupola del capo-carro lascerà il posto ad un’altra con migliore profilatura balistica. Infine, nel gennaio 1944, le ruote gommate verranno rimpiazzate da altre in acciaio con anelli elastici per ridurre il logorio dei cuscinetti, il riscaldamento e il consumo dei cingoli, mentre i quattro rulli esterni di ciascun treno di rotolamento saranno eliminati. Infine dall’estate 1943 e a séguito dell’impiego da parte sovietica di mine magnetiche, lo scafo sarà inoltre rivestito di un intonaco (Nitro-spetchtel) che le neutralizza. Minori modifiche riguarderanno il riposizionamento dei fari, gli apparati ottici, i portelli di visuale e di emergenza nonché i parafanghi.
Particolare attenzione sarà portata tra il 1943 e il 1944 alle norme d’impiego: una celebre pubblicazione illustrata realizzata da due giovani ufficiali, il Tigerfibel, è indirizzata ai giovani carristi, dove con efficaci illustrazioni si portano all’attenzione dei neofiti tutti i segreti per il più efficace impiego del formidabile strumento loro affidato. Tra l’altro si mette in evidenza (Il Tigre incassa tutto…) come un esemplare abbia sopportato dai sovietici – e senza grossi problemi – ben 227 colpi di fucile anticarro, 14 da 52 e 11 da 76 e 3 mine, e nondimeno abbia percorso per rientrare nelle proprie linee altri 60 Km in terreno accidentato. Del resto, tutti concordano che se la manutenzione è attenta e costante, il carro non è soggetto a guasti; soltanto – e non è poco – esso va impiegato accortamente e preceduto da ricognizioni a grande raggio, a massa e non in numero esiguo, e specialmente - a ragion veduta - accompagnato e protetto da carri medi, granatieri corazzati e reparti del genio che ne assicurino la mobilità, rimovendo ostacoli attivi e passivi. Solo con questi presupposti un’azione di rottura potrà avere successo.
Gli effetti psicologici per amici e nemici dovuti alla presenza di un carro di tale potenza in un teatro operativo, purtuttavia si protrarranno a lungo. Soltanto nel 1944 i tedeschi saranno costretti a diramare direttive dove si sottolinea come il “Tigre” non sia un buon carro pesante, con i suoi pregi e i suoi difetti, e che non può agire al di sopra delle sue oggettive possibilità. La sua superiorità si potrà protrarre nelle azioni in campo aperto, non certo in Italia dove altri sono i problemi. Occorrerà, inoltre, quando si perderà la padronanza del cielo, addestrarsi ad effettuare gli spostamenti nottetempo e ricorrere a tutti i mezzi di mascheramento e di occultamento.
La superiorità tattica, sempre che comandi superiori ed equipaggi non disattendano per errate valutazioni le norme vigenti, non sempre sarà sufficiente e potrà ritardare ma non evitare la sconfitta.
In conclusione, qualora l’Esercito italiano avesse continuato a combattere contro gli anglo-americani, anche l’eventuale battaglione di “Tigre”, con le limitazioni di supporto qui evidenziate (e alle quali per tutta la durata residua della guerra i tedeschi non riuscirono a porre rimedio) ben poco avrebbe potuto fare sui nostri terreni e contro una superiorità numerica schiacciante.
La fine della compagnia speciale carri “Tigre”
Con il rientro in Italia, il 25 luglio, la compagnia, come si è ricordato nell’articolo recentemente pubblicato, non fu disciolta, ma rimase a Siena. I carristi non tornarono al reparto di provenienza. Evidentemente, lo Stato Maggiore non desiderava disperdere un patrimonio di professionalità così faticosamente raggiunto ed unico nell’Esercito di allora.
Solo il Comandante, il capitano in s.p.e. Attilio Ferrari, fu destinato ad altro incarico.
In agosto, il Gruppo Corazzato Leonessa della 136.a Divisione Legionaria Corazzata, a séguito dei noti avvenimenti, non riscuoteva la piena fiducia dello S.M. R. Esercito. Inoltre, l’allontanamento degli Ufficiali e dei legionari più politicizzati, aveva costretto a difficili sostituzioni e nei restanti si era constatata l’insufficienza dell’ addestramento specifico, dovuto all’affrettata costituzione dei reparti ed all’impreparazione tecnica di parte del personale. L’Ispettorato delle Truppe Motorizzate e Corazzate comandò di conseguenza, dal 21 agosto 1943 presso tale reparto (all’epoca comandato dal seniore Tesi e dislocato a Corcolle, una località a sud di Tivoli), con incarichi tecnici derivanti dalla conoscenza acquisita in Germania dei carri armati tedeschi, proprio il capitano Ferrari. Probabilmente non era svanita del tutto la speranza di una collaborazione con l’alleato anche fra gli alti gradi: non tutti erano propensi ad un cambiamento di fronte, come dimostrerà lo sbandamento dell’8 settembre.
A distanza di un anno, Ferrari (cl. 1917) fu interrogato dal S.I.M. (9) il 29 agosto 1994 e riferì sulle sue esperienze alla Scuola carrista di Paderborn.
"All’epoca - egli esordì - tutto il personale destinato ai reparti carri “Tiger” veniva istruito presso tale scuola. Essa comprendeva il Comando, un Battaglione scuola su tre compagnie carri, un Battaglione d’istruzione anch’esso su 3 compagnie ed una Compagnia officina.
Ciascuna compagnia del battaglione scuola aveva gli organici delle compagnie carri germaniche, e ai componenti era affidata la cura e la tenuta in efficienza dei materiali. I quadri fungevano invece da istruttori per le unità in approntamento che frequentavano i corsi (compresi i comandanti, gli ufficiali ed i sottufficiali di detti reparti).
Ogni corso doveva avere la durata di 3-5 mesi, ma nella primavera 1943 era stato abbreviato a 2 mesi. Terminato il periodo, i corsisti passavano alle compagnie di istruzione, inquadrate da ufficiali e sottufficiali della scuola . Queste non disponevano di mezzi propri, ma di quelli destinati ai reparti in corso di formazione e che vi arrivavano direttamente dalle officine di montaggio.
Il periodo di questa fase era stato ultimamente portato da due mesi ad uno solo.
Ogni compagnia scuola aveva :- un comandante (capitano o tenente, insegnante di tattica carrista)
- un vice-comandante (tenente o sottotenente)
- 3-4 ufficiali comandanti di plotone ed istruttori di singole materie (armi per carri, apparecchiature elettriche, strumentazioni, sospensioni ecc.)
- un maresciallo di compagnia (chiamato spitz e che praticamente ha la gestione degli uomini e dei materiali della medesima)
- una decina di sottufficiali carristi, ognuno dei quali è insegnante aggiunto di ciascuna materia. Costoro spesso hanno preparazione tecnica superiore a quella degli ufficiali.
Nel battaglione, vi era un carro comando e 3 compagnie su 4 plotoni di due carri, che erano da portarsi a tre carri. Era infatti allo studio un aumento a 16 “Tiger” e la costituzione di battaglioni con compagnie equipaggiate tutte di soli “Tigre” (eliminando quindi, con decorrenza giugno 1943, le due compagnie su carri più leggeri).
Degli istruttori, Ferrari ricordava il comandante della Scuola, capitano Eckert, il comandante di una compagnia scuola cap. Hukert, il ten. Von Schnell e il ten. Weiss. Il comandante della compagnia officina era un maggiore (ingegnere).
Circa la metodologia, l’organizzazione dei corsi prevedeva tre periodi di istruzione, dei quali il primo comportava un addestramento esclusivamente teorico e lezioni svolte con l’ausilio di materiale didattico costituito da cartelloni, proiezioni, foto, schemi, sezioni ecc. sulle varie componenti del carro armato (armi, motore, corazzatura, sospensioni ecc.). Dette lezioni erano tenute dai sottufficiali (ma in presenza degli ufficiali), dalle 8 alle 12 del mattino e dalle 14 alle 17 del pomeriggio.
Nel secondo periodo, le lezioni si svolgevano in aula con pezzi didattici sezionati, al mattino; nel pomeriggio, in rimessa, sul carro vero e proprio.
Nel terzo periodo, tutta l’attività si svolgeva sul campo d’addestramento (compreso il percorso a ostacoli): scuola di pilotaggio, scuola marconisti, scuola di puntamento.
Verso la fine, si passava all’addestramento al combattimento, con l’impiego tattico del plotone e della compagnia. Questo ciclo comprendeva da 3 a 5 lezioni di tiro, a carro fermo, su distanze dai 500 ai 2000 m, (a puntamento diretto).
In ogni lezione di tiro si sparavano in media 5 colpi (ultimamente – osservò Ferrari - a questo ci si era ridotti dalle precedenti centinaia). L’addestramento era completato da 6-7 lezioni di tiro con la mitragliatrice.
Accuratissime erano le esercitazioni al collegamento radio, svolte anche con l’ausilio di schemi.
La scuola di puntamento iniziava con modellini di legno in scala posti a distanze corrispondentemente ridotte; il puntatore doveva stimare le distanze, calcolare l’alzo e individuare il tipo di carro, a seconda del quale mirare ai punti più sensibili.
Al termine dell’ esposizione di un argomento, gli istruttori passavano alle interrogazioni, e dopo essersi accertati che gli allievi avevano capito, ripetevano ancora una volta.
Gli istruttori erano tutti ottimi, di elevata cultura ed esperienza bellica. Ufficiali e sottufficiali delle unità in approntamento si comportavano da semplici allievi e non avevano alcuna ingerenza nelle istruzioni svolte.
L’addestramento era condotto per equipaggio: ad esempio, a quello del cannoniere assistevano tutti gli altri componenti; egualmente avveniva per le altre mansioni, in modo che alla fine si giungesse alla intercambiabilità delle funzioni per ogni membro dell’equipaggio stesso.
La scuola disponeva di circa 100 carri, in gran parte “Tiger” e di qualche centinaio di altri mezzi, ivi compresi autoblindo e corazzati vari. Alla scuola affluivano dal fronte i “Tiger” che presentavano qualche interesse per lo studio di avarie, anomalie di comportamento ecc. nonché i carri russi di preda bellica.
Nelle officine lavoravano oltre un centinaio di meccanici russi, sottoposti a una durissima disciplina, come avveniva anche negli stabilimenti di montaggio, dove i lavoratori stranieri erano sottoposti alla vigilanza di un loro connazionale che ne diveniva il responsabile.
Presso l’officina di montaggio carri armati e veicoli cingolati di Friedrichshafen si producevano tutti i componenti dei mezzi, a parte i motori (Maybach) in impianti sotterranei a prova di bomba. Già allora era previsto, peraltro, il decentramento in località minori dei macchinari."
Gli ufficiali superstiti, provenienti dai corsi regolari d’Accademia, mi hanno confermato, seppure con qualche lacuna dovuta agli anni trascorsi, le notizie riferite dal loro comandante di allora. Essi hanno sottolineato di avere constatato in quella circostanza una netta inferiorità delle nostre scuole (il confronto era per loro assai più facile, essendo giovanissimi, freschi di studi e reduci dalle loro prime esperienze presso i nostri reparti d’impiego). Questo fatto forse può spiegare alcune delle difficoltà che il nostro Esercito si trovò ad affrontare durante l’ultima guerra, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione sulla disponibilità e l’adeguatezza dei nostri materiali.
Nicola Pignato
Note:
- Roatta, M. Otto milioni di baionette, Mondatori, Verona 1946
- In effetti, il modello di cui era stata offerta la licenza era quello con cannone corto, e quindi, sulla carta, il nostro P. 40 che già montava il 75/34, gli era superiore
- Giaccone, Leandro, Ho firmato la resa di Roma, Cavallotti, Milano, 1973 p. 136
- Deakin, Frederic W., A Brutal Friendship, Weidenfeld & Nicholson, Londra, 1962 pag. 335
- Dollman, Eugenio, Roma Nazista, Longanesi, Milano 1959
- Curami A., Ceva L., La meccanizzazione dell’Esercito fino al 1943,Roma, USSME 1989 e 1994, pag. 399
- Solo nel 1944 il sPz Abt 508 avrà due Bergepanther. Con lo stesso motore del “Tigre”, un verricello di 40 tonnellate e un grosso vomere, questi carri soccorso iniziarono ad essere distribuiti verso la metà del 1943 soltanto sul Fronte Orientale
- I carristi italiani ricordano che sui “Tigre” di Paderborn erano già stati rimossi e che in alcuni di questi carri destinati all’istruzione i motori erano alimentati a metano
- Il Servizio Informazioni Militare, ricostituito presso l’Esercito del Sud