| Volo misterioso di un SM 79 Il 21 luglio 1960 un gruppo di geologi della Cori (Compagnia Ricerche Idrocarburi) avventuratosi in pieno deserto libico per effettuare rilievi stratigrafici inerenti la ricerca di zone da trivellare per l’apertura di nuovi pozzi petroliferi, si imbattè nella salma di un aviatore italiano semissommerso dalla sabbia. |
Era l’aviere Gianni Romanini di Parma, 26 anni, accanto a lui furono rinvenuti: la bussola dell’aereo, una borraccia da mezzo litro, un caschetto, un cacciavite, un mazzo di chiavi con la scritta SM79 MM23881, una pistola da segnalazioni con i bossoli di alcuni razzi lanciati e degli stracci con i quali lo sventurato si era fasciato i piedi, martoriati dalla lunga marcia nel deserto libico. Dal mazzo di chiavi si potè stabilire che l’aviere Romanini doverva essere stato a bordo di un SM79 al momento della caduta nel deserto; Gian Luca Desio e Givanni Vacirca, i due geologi che avevano trovato il corpo cercarono l’aeroplano con l’aiuto di altri colleghi, di automezzi e di un elicottero, ma non riuscirono ad individuarlo! Due mesi più tardi, un altro gruppo di cercatori di petrolio dell’AGIP Mineraria, trovò casualmente il trimotore che aveva compiuto tanti anni prima un atterraggio di fortuna nel deserto. L’aeroplano era ancora in buono stato, mentre la parte superiore dele ali era letteralmente smerigliata dalla sabbia del deserto, nella parte inferiore invece erano ancora distinguibili i distintivi a tre fasci e la mimetizzazione verdeazzurra . Nell’angolo fra l’ala e la fusoliera, accanto ad alcune bottilgie di acqua vuote, c’erano i resti di quattro aviatori che erano morti di fame, ma senz’altro più ancora di sete, attendendo invano i soccorsi che il coraggioso Romanini era andato a cercare, il corpo di un sesto componente, probabilmente il pilota, fu trovato seduto in cabina con le ossa della spalla spezzate. Romanini si abbattè sfinito, doppo aver marciato ed essersi trascinato in una allucinante marcia di 90 chilometri, a solo 8 chilometri dalla pista di Giarabub dove passavano continuamente degli automezzi. Esausto e ormani incapace di muovesi l’eroico giovane deve aver udito il rumore di qualche colonna di automezzi, e con l’ultimo barlume di coscienza ha trovato la forza di sparare tre razzi che aveva portato con sé. Forse prima di morire ebbe la speranza che qualcuno avesse visto i suoi segnali, ma questo non lo sapremo mai! Novanta chilometri più a sud, nerl frattempo si compiva la tragedia degli altri quattro membri dell’equipaggio che il sacrificio di Romanini non era valso a salvare! Il quinto seduto in cabina, era probabilmente già morto! Dagli archivi del Ministero Difesa Aeronautica si è potuto appurare che il Savoia Marchetti S. 79 faceva parte della 278° Squadriglia Aerosiluranti, in quel periodo operante dall’aeroporto di Berka vicino a Bengasi. L’equipaggio era composto dal Cap. Oscar Cimolini, primo pilota, dal M.llo Cesare Barro, secondo pilota, dal S.Ten di Vas, Franco Franchi, ossevatore, dal Serg. Maggiore Armonio de Luca, marconista, dall’Aviere Quintillo Joello, motorista e dall’Aviere Gianni Romanini armiere. Il 21 aprile 1941 alle 17 l’SM79 scomparve. Veivoli del soccorso aereo partirono alla sua ricerca sia in mare che sul deserto, ma in quest’ultima direzione non si spinsero fino al punto in qui era caduto l’aereo. In questa triste vicenda restano dei grandi interrogativi senza risposte, incognite che non saranno mai svelate. - Come mai il velivolo si era spinto così addentro nel deserto, addirittura al di là dell’autonomia che il carico di carburante gli consentiva?
- Per quale ragione non chiese aiuto per radio?
- La stessa al momento del ritrovamento 20 anni dopo, sembrava ancora in buono stato!
Ormai nessuno potrà dare una risposta a questi quesiti, dato che l’equipaggio ha portato con se, laggiù fra le sabbie, il drammatico segreto del suo volo! Interesante il fatto che la mitraliatrice del 79, dopo venti anni nel deserto funzionava ancora. Testo tratto da: Voli Misteriosi di Giorgio Evangelisti edito da Olimpia |
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