| In questo articolo, vedremo in dettaglio gli interni del carro armato medio italiano M13/40 impiegato dal Regio Esercito durante la II Guerra Mondiale. Traduzione di Fabio d'Inzeo |
Il materiale iconografico relativo agli interni dei mezzi corazzati italiani della II Guerra Mondiale è molto raro e quello qui riportate è di ampio formato per fornire il miglior materiale possibile per lo studio dei particolari interni. Il carro armato M13/40 era l'evoluzione di un modello di carro precedente, l'M11/39, la cui produzione ebbe inizio nel 1936.L'M11/39 era armato con un cannone del calibro di 37mm disposto nella parte anteriore destra dello scafo e due mitragliatrici abbinate Breda montate in una torretta girevole su tutto lorizzonte. I miglioramenti principali introdotti con l'M13/40 riguardano l'orientamento delle piastre frontali della corazzatura al fine di essere meno vulnerabile, incrementando l'efficienza dell'insieme invertendo la posizione delle mitragliatrici e del cannone, ed aumentando la mobilità del veicolo con un motore più potente. L'armamento principale passava ai 47mm con alloggiamento nella torretta a cui venne abbinata una mitragliatrice coassiale, mentre le due mitragliatrici vennero posizionate nella parte inferiore destra dello scafo. Ne risultò un veicolo migliorato rispetto all'M11/39, ma che ancora difettava in termini di protezione dell'eqiopaggio e nelle prestazioni, considerevolmente inferiori a quelle degli altri carri medi dell'epoca.Queste mancanze non furono così evidenti durante gli scontri iniziali nel deserto della Libia e dell'Egitto, ma limitarono severamente l'impiego del mezzo nel prosieguo delle ostilità. Gradualmente nei nuovi lotti di carri consegnati per l'invio al fronte furono apportati altri migliormamenti.Nel settembre del '41 la denominazione, a seguito delle modifiche apportate, mutò in Carro armato medio M14/41. Le principali differenze consistevano nel motore e nel sistema di filtraggio dell'aria migliorati e nell'adozione di un sistema di raffreddamento più efficiente. Contrariamente a quanto ripoirtato da più fonti, gli equipaggi italiani si batterono con capacità e coraggio a dispetto dei mezzi loro assegnati e della catena di comando non sempre all'altezza. Nonostante il loro livello addestramento non ottimale si rivelarono avversari fieri e buoni combattenti con qualunque armamento avessero a disposizione. Questa illustrazione è stata realizzata dal British War Office nel 1940, dopo l'esame di uno dei primi M13/40 catturati durante le operazioni in Nord Africa. Sono chiaramente visibli il cannone da 47mm e la mitragliatrice coassiale installate nello scudo torretta, così le mitargliatrici gemelle da 8mm nella parte anteriore destra dello scafo. Il primo prototipo con questa nuova disposizione è stato valutato all'inizio del 1940 e la costruzione in serie ha avuto inizio negli stabilimenti Ansaldo. Il pilota è seduto il a sinistra nella parte anteriore dello scafo ed il mitragliere siede alla sua destra. Nella torretta trovavano posto gli altri dus membri dell'equipaggio e più precisamente il servente (che manovrava anche la mitragliatrice coassiale) a sinistra ed il capocarro/cannoniere destra. I primi esemplari del M13/40 non erano dotati di apparato radio in quanto il Regio Esercito, come molti altri eserciti del tempo, era soddisfatto dall'uso delle bandierine di segnalazione per le loro comunicazioni fra i veicoli. Il motore diesel SPA era montato nella parte posteriore, e rimpiazzato poi nel prosieguo della produzione con un propulsore più potente. Il pilota controllava la sia la direzione del veicolo che la frenata con dei leveraggi di tipo tradizionale, il cambio di marcia era possibile grazie una leva alla sua destra, e frizione ed acceleratore avavno comandi a pedale. L'apparato propulsore consisteva in un motore SPA TM40 ciclo diesel raffreddato ad acqua con 8 cilindri disposti a V in grado di erogare 125hp a 1800 giri al minuto, mentre la trasmissione consisteva in un cambio a quattro marce che trasmetteva il moto tramite due epicicli al dispositivo di frenatura/sterzatura e da qui ai due gruppi di riduzione finale situati nella parte anteriore dello scafo. La torretta poteva essere ruotata sia manualmente che a mezzo di un motore idraulico, ma per l'elevazione era disponibile solo il comando manuale. Il sistema italiano di denominazione dei carri prevedeva come iniziale una lettera (L per Leggero, M per Medio e P per Pesante) seguita dal peso in tonnellate del mezzo e dalle ultime due cifre dell'anno di adozione da parte del Regio Esercito. Quindi la sigla M13-40 indicava un carro armato medio del peso di 13 tonnellate adottato nel 1940. Un altro disegno, sempre proveniente dagli archivi dell'Esercito Britannico, illustra la disposizione interna vista lateralmente da destra. La scatola ingranaggi della trasmissione era posizionata fra i due membri dell'equipaggio alloggiati nello scafo mentre i leveraggi direzionali/frenanti erano montati sulla parte superiore del cambio mentre sulla parte destra dello stesso si trovava la leva dell'ingranaggio di riduzione (velocità alta e bassa per marcia su strada e fuori strada). Il moto veniva trasferita dal motore montato posteriormente agli ingranaggi anteriori al gruppo scatola del cambio/epicicli attraverso un albero di trasmissione che attraversava lo scafo in tutta la sua lunghezza da poppa a prua. Nel punto in cui l'albero si univa all'alloggiamento degli organi di era presente una presa di potenza per la pompa idraulica, che mandava in pressione il fluido del motore per il brandeggio della torretta. Nell'illustrazione è rappresentata dai piccoli cerchi presenti sull'albero di trasmissione, appena dietro alla scatola del cambio. Un sistema di tubi flessibili che partivano dalla pompa facevano capo ad una manopola di comando facilmente raggiungibile ed azionabile da parte del capo carro/cannoniere, il cui supporto è qui visibile al centro delvano di combattimento. I tubi flessibili continuavano poi sulla parte parte di destra dello scafo (direttamente sotto l'anello della torretta) e si collegavano al motore idraulico, che faceva ruotare la torretta a mezzo del relativo sistema d'ingranaggi. Il motore, i ventilatori ed il radiatore occupano la maggior parte della parte posteriore del mezzo, con i radiatori posti all'estremità posteriore e con i serbatoi del combustibile ai loro lati. Questa illustrazione si riferisce ad un M13/40 tardo o, più probabilmente, ad un M14/41. La differenza principale fra i due consiste nel motore un po'più grande e nel sistema di filtraggio migliorato. Le quattro nuove scatole degli elemnti filtranti ora sono montate in cima al blocco motore in corrispondenza dei cilindri, invece dei grandi filtri che trovavano posto in precedenza sulla parete posteriore all'interno del vano di combattimento ai lati dell'albero di trasmissione. A parte i cambiamenti al motore, gli interni dei due veicoli erano quasi identici. Nella torretta si trovava il cannone da 47mm, con la mitragliatrice Breda da 8mm coassiale alla sua sinistra ed il grande mirino telescopico del cannone che ne dominava la destra. Il capo carro/cannoniere ed il servente potevano osservare il campo di battaglia anche usando i due periscopi 1x rotanti sui 360° montati sul cielo della torretta su entrambi i lati del cannone. Ecco un altro disegno della stessa serie, sempre di provenienza Esercito Inglese, relativo alla disposizione dei sistemi del M14/41 visto in pianta. La posizione dei sedili del pilota e del mitragliere all'interno dello scafo sono indicate da delle linee tratteggiate. Il blocco della trasmissione era molto grande e interamente scatolato, ed era montato al centro delle precedentemente menzionate postazioni. Sono ben visibili la leva centrale del cambio, così come la pompa idraulica ed collegamenti dell'albero di trasmissione alla scatola del cambio/riduzione finale. Gli alloggiamenti epicicloidali del freno e della frizione prendono la maggior parte della parte anteriore del blocco della trasmissione e le leve direzionali del pilota possono essere viste spuntare ai lati della sua postazione. Notare ancora una volta le quattro scatole rettangolari contenenti i filtri dell'aria in cima al blocco motore, che identificano questo schizzo come rappresentante un M13/40 di tarda produzione o un M14/41. Purtroppo i carri della serie di M, hanno avuto una storia caratterizzata da problemi di affidabilità che sono stati la cause principale della loro cattiva reputazione. Il problema principale era rappresentato dalla sottigliezza della sabbia che riusciva a passare nel sistema di filtraggio poco efficiente e di conseguenza ad entrare nel motore provocandone il grippaggio. Quando il lento M13/40 ha ricevuto un motore più potente trasformandosi in M14/41, fu adottato un sistema di filtraggio più efficiente con l'installazione di quattro nuovi filtri più piccoli direttamente montati in corrispondenza dei cilindri sul blocco motore che migliorarono sensibilmente l'affidabilità del mezzo. Anche se non riportato nel disegno, il supporto idraulico di controllo del brandeggio della torretta da parte del capo carro/cannoniere sarebbe situato appena alla destra dell'albero, al centro dello vano di combattimento, permettendogli di controllare il brandeggio con la mano sinistra e di agire sul volantino di elevazione con la mano destra. Moltissimo materiale italiano fu catturato dagli inglesi durante il loro contrattacco verso la fine del 1940 ed ancora più a seguito delle battaglie svoltesi all'inizio di 1941. Molti dei carri italiani furono rimessi in condizioni di efficienza dagli inglesi e riutilizzati contro contro i loro proprietari originali. La foto a lato è un dettaglio di un'immagine che originalmente ripresa fotografo del BMI (forse F. Hurley), ma ora custodita presso gli archivi della Forza Sudafricana di Difesa (SADF). Lo schieramento dei veicoli catturati è stato ripreso nel febbraio del '41 nei pressi a Beda Fomm in Libia. Altre foto appartenenti alla stessa serie possono essere trovate presso l'Imperial War Museum e l'Archivio Fotografico Australiano. La maggior parte questi veicoli, o forse tutti, sono stati tutti ufficialmente identificati come carri M13/40. Interessante lo scompartimento motore aperto sul secondo carro dal basso che mostra la disposizione originale del filtro dell'aria senza le scatole più piccole dei filtri in cima ai collettori di successiva introduzione. Sempre interessante è la posizione delle protezioni dei periscopi del capo carro e del servente sul cielo della torretta di tutti i carri. Quelli del comandante/cannoniere sopno posizionati molto indietro sul tetto della torretta. Da notare inoltre che il portello sul cielo della torretta è del tipo sdoppiato senza riscontri sulle superfici interne. La metà di sinistra del portello ha una piccola piastra scorrevole che rivela un'apertura usata la segnalazione (a mezzo bandierine o pistola lanciarazzi). Il portello sul lato della casamatta del primo veicolo è aperto ed sono visibili alcuni particolari interni (questi carri avevano portelli di acecsso alla casamatta solo sul lato sinistro). Sulla parte interna è agganciato da un semplice meccanismo semplice di leva/chiavistello e presenta un piccolo foro di accesso per una chiave esagonale che ne permette il bloccaggio dall'esterno. Un'apertura rotonda permetteva il fuoco con l'armamento individuale dall'interno del mezzo per la difesa ravvicinata che vedremo più in dettaglio successivamente. I tedeschi non erano favorevolmente impressionati dai carri italiani della serie M, e li denominarono "Rollende Saerge", o bare rotolanti, specie in considerazione della scarsa corazzatura per di più a lastre imbullonate. Per la difesa del territorio nazionale, gli italiani per molti anni si erano specializzati sui carri leggeri pensati per poter operare come supporto alla fanteria in ambiente alpino da cui si riteneva poter provenire una nuova minaccia. Il deserto piatto, caldo, sabbioso che accolse i blindati italiani in Africa del Nord non era il terreno su cui furono progettati per poter funzionare. Inizieremo ora il nostro "giro" virtuale all'interno dello scafo partendo dalla postazione del pilota sul lato sinistro. Il grande cruscotto portastrumenti nero era montato sulla parete alla sua sinistra, affiancato posteriormente da una struttura in legno a scomparti per l'alloggiamento dei caricatori della mitragliatrice Breda. Anteriormente al cruscotto (sulla piastra frontale anteriore) si trovava la manopola di comando per manovrare la piasta corazzata per la visione esterna del pilota, che era dotata di una fessura di dimensioni molto ridotte e protetta da un blocco di vetro a prova di proiettile amovibile (che somiglia aquella di un Carro Veloce L.3). La maggior parte degli M13/40 prodotti successivamente, erano muniti di un priscopio anche per il pilota, montato anteriormente sul cielo della casamatta e che consentiva una migliore osservazione osservazione migliore ed una guida più sicura quando il carro era completamente "chiusoW. Se il periscopio equipaggiasse o meno questo veicolo non è rilevabile da questa fotografia. Notare le leve della per il cambiamento direzionale (con i relativi comandi di bloccaggio) su entrambi i lati del sedile del pilota (nella foto il sedile è stato rimosso). I pedali della frizione e dell'acceleratore sono chiaramente visibili sul pavimento dello scafo. Appena visibile, sull'estrema destra dell'immagine, la lunga leva del cambio con la relativa manopola ed il piccolo tasto sulla parte superiore. A destra la lunga leva del freno della trasmissione è visibile alla sinistra della scatola degli ingranaggi (la lunga leva scura piegata fra la leva direzionale destra del pilota e la scatola ingranaggi). Visibili in basso giusto dietro ai pedali alcune delle fasce dell'intelaiatura del gruppo frizione-freno attorno ai componenti epicicloidali dell'ingranaggio. Il tachimetro in questo caso è uno strumento separato dal quadro portastrumenti principale. Gli unici strumenti identificabili sul pannello da questa immagine sono lo strumento per la rilevazione della temperatura dell'olio motore (in alto a sinistra) ed il tasto per l'avviamento (al centro). Credo che il dispositivo di interruzzione dell'afflusso del carburante sia la piccola leva in basso a sinistra. L'immagine sulla destra riporta la vista attraverso lo scafo della postazione del cannoniere, dove si nota l'assenza delle mitragliatrici. Sono chiaramente visibili gli ingranaggi di brandeggio e la pompa idraulica sul lato lontano del telaio, così come il blocco della trasmissione con la relativa leva di comando appena visibile. Sulla trasmissione, si possono vedere il blocco che accoglie la la leva del cambio e la leva per l'azionamento delle ridotte (in posizione orizzontale sul lato lontano della scatola degli ingranaggi). Il portello del pilota appare in posizione aperta e subito alla sua destra il ripetitore dell'indicatore del senso di marcia (denominato "un telegrafo" nei termini marinari). Notare il collegamento dello stesso al suo "master" tramite il cablaggio fissato cablaggio lungo l'anello di torretta vicino alla postazione del capocarro. Questi fungevano da dispositivo primario di comunicazione fra il capocarro ed il pilota; il comandante azionava una leva sul suo indicatore la cui posizione veniva ripetuta sullo strumento del pilota, indicandogli la direzione da seguire e a quale velocità. Quando furono aggiunte successvamente le radio ed un sistema interfonico, questa strumentazione fu mantenuta, poichè l'impianto interfonico non venne previsto per il pilota. Purtroppo l'apparato, con la torretta al traverso, era irragiungibile da parte del capocarro e le uniche vie di comunicazione per il capocarro erano o quella di toccare con un piede la schiena del pilota per indicargli la direzione(così come avveniva in molti eserciti prima della guerra), o quella di urlare le proprie indicazioni. Altro particolare interessante della foto è la manopola di comando per il brandeggio idraulico della torre, sistema fissato sul pavimento dello scafo. Ruotando la maniglia nella parte superiore, il capocarro poteva ruotare la torretta a sinistra o a destra. In caso di inefficienza del servocontrollo, o di necessità di brandeggio fine in caso di mira, il capocarro poteva usare la manovella per il comando manuale del traverso della torre che si riesce a vedere nella parte in alto a destra dell'immagine. Più chiaramente visibile nella stessa zona è la manovella per la regolazione manuale dell'alzo della mitragliatrice. Non essendo la torre munita di cesto, capocarro e piloti sedevano su due seggiolini fissati tramite barre d'acciaio all'anello di torretta, ruotando intorno al controllo idraulico della traverso della torre con la stessa, mentre i due schienali dei sedili erano fissati sull'anello di torretta. Si nota inoltre come questo veicolo non fosse dotato degli apparati radio. Quando detti apparati erano installati erano montati alla destra del mitragliere di scafo. E' visibile anche la base dell'antenna della sulla parte alta dello scafo. Le radio installate erano del tipo RF1CA, mentre i carri comando montavano anche un'apparato aggiuntivo RF2CA. Il perno della base dell'antenna è fissato ad una maniglia che l'operatore ruotava per abbassare orizzontalmente all'indietro l'antenna per permettere alla torretta il brandeggio sui 360°, o di evitare ostacoli che avrebbero potuto danneggiarla. La vernice sulle pareti dello scafo e sull'interno della torretta è bianca. Alcune fonti riportano che la colorazione degli interni dei carri italiani potevano essere verniciati un colore simile all'avorio usato dai tedeschi, ma di questo non vi è certezza. Un ingrandimento della foto precedente mostra ancora un particolare del trasmettitore dei comandi e del gruppo della trasmissione. Si nota anche la presa sulla trasmissione della pompa idraulica (come pure la piccola leva di comando e la manopola) in basso a destra. E' visibile anche un contenitore nero per la custodia dell'iposcopio del pilota (possiamo vedere appena la parte superiore della scatola). L'indicatore di direzione del pilota si vede abbastanza bene e si può notare come ricordi molto quelli per uso navale. Sono visibili la leva del cambio con la relativa manopola bianca e quella di comando del gruppo di di riduzione, quast'ultima sul lato opposto della scatola della trasmissione. Notare la rastrelliera in legno per l'alloggiamento dei caricatori da 8mm della mitragliatrice situati sotto il supporto della stessa. Un certo numero di queste rastrelliere in legno verniciato sono poste in carie locazioni intorno allo scafo. I primi M13/40 Libia raggiunsero la Libia nel 1940 e furono immediatamente impiegati usati immediatamente contro gli inglesi nella zona di Sollum-Halfaya il 9 dicembre dello stesso anno. Hanno certamente fornito prestazioni migliori degli M11/39, ma non erano ancora in grado di insidiare obiettivi superiori alle autoblindo o ai carri leggeri. La produzione degli M13 e degli M14 ammontò a 779 esemplari, tutti costruiti dalla Ansaldo. Con i serbatoi di combustibile capaci di 227 litri il mezzo poteva percorrere circa 200km prima di dover nuovamente rifornire. Gli inglesi catturarono molti di questi mezzi a Tobruk in '41 e li riutilizzarono contro le truppe dell'asse fino a che fossero in stato di efficienza prima di venire abbandonati. Un altro ingrandimento della stessa foto mostra più chiaramente i particolari lungo la parte superiore dello scafo. L'indicatore di direzione del capocarro con la relativa leva di comando è ora visibile nell'angolo più in basso a destra. Dietro questo strumento è presente un'altra rastrelliera di legno per i caricatori della mitragliatrice. Tali rastrelliere erano posizionate su buona parte del lato destro dello scafo montate sia in verticale che in orizzontale ad eccezione di un'area libera attorno alla feritoia per l'uso dell'armamento individuale in caso di difesa ravvicinata, anche per la mancanza del portello laterale di accesso allo scafo presente sul solo lato sinistro dello stesso. La maniglia bianca sul perno dell'antenna ed il relativo sistema di montaggio nero è visibile al centro della foto, così come una parte del supporto delle mitragliatrici abbinate nello scafo (a sinistra in basso). Interessante il meccanismo per l'elevazione manuale della mitragliatrice abbinata alloggiata in torretta, situato sotto il supporto della stessa. Il volantino manuale di elevazione è fissato ad un albero di trasmissione che termina nella parte posteriore di una piccola scatola ingranaggi arrotondata. Dalla parte anteriore della scatola fuoriesce un altro albero che conduce direttamente ad un ingranaggio del cric. Questo ingranaggio guida un pignone per l'elevazione e la depressione del supporto principale della mitragliatrice. All'estrema destra, nella zona in ombra si distingue la manovella per il traverso manuale della torre, montata obliquamente. Una volta smontati i portelli e le piastre di raffreddamento anteriori dello scafo, si possono vedere gli ingranaggi epicicloidali ed i freni del mezzo. Notare che anche la copertura dell'alloggiamento dell'ingranaggio principale è stata rimossa, dandoci la possibilità di vederne l'internocon la disposizione dei vari ingranaggi, alberi, ecc. Il moto veniva trasferito tramite una frizione all'unità di frenaggio. Si vedono gli alloggiamenti della frizione ed i grandi dischi dei freni coperti coperti. La frizione ed il sistema di frenatura furono già usati all'inizio del secolo dalla statunitense Holt. Seguendo l'esempio del sistema direzionale semplificato per veicoli cingolati della Holt fu adottato dai francesi per i loro Schneider così come dagli inglesi per i loro primi carri del 1916-17. Italiani ed i tedeschi (Pz.III/IV), tra gli altri, hanno modificato il sistema di frenatura con l'adozione di gruppi epicicloidali aggiungendo anche un nuovo sistema frenante, denominato freni guida. Invece di disconnettere uno dei bracci traenti e rallentare per permettere al carro di cambiare direzione, il cingolo viene semplicemente "rallentato" a mezzo dei sistemi frenanti. Tutto questo comportava la generazione di moltissimo calore che unito con a quello della trasmissione stessa e delle alte temperature in ambiente desertico resero l'interno del M13/40 in una sorta di girone dantesco in termini di temperatura. Il braccio trasversale che passa dietro i bracci di abbattimento è la barra del connettore per l'apertura dei portelli di raffreddamento dei i freni, che venivano azionati dal pilota a mezzo di un'apposita leva. I portelli di raffreddamento dei freni hanno contribuito un po'a ridurre il calore sviluppato all'interno dello scafo introducendo un po' di aria fresca all'interno. Le due mitragliatrici abbinate presenti nello scafo erano delle Breda Mod 38 da 8mm, separate da un mirino ottico, ben visibile nell'immagine a lato. Altretanto visibile sono l'indicatore di direzione e velocità del pilota, le leve direzionali e la lunga leva per l'inserimento delle ridotte. E' da notare il danno alla corazzatura sulla destra dell'indicatore di direzione. Tramite l'utilizzo delle ridotte il pilota aveva a disposizione un totale di otto marce in avanti e due indietro. Al di sotto delle mitragliatrici sono presenti i sacchetti di recupero dei bossoli e sono visibili i meccanismi di sparo e brandeggio delle stesse. La manopola bianca per far ruotare l'antenna è visibile in alto a destra così come le scatole delle munizioni, sulla destra della postazione del mitragliere in basso a destra nella foto. Sulla mensola al di sopra delle cassette delle munizioni, dovre si troverebbe la radio, c'è la scatola del kit di manutenzione e pulizia delle mitragliatrici. Si può motare il telaio di supporto e attacco per le corazzature imbullonate. La protezione del M13/40 era affidata a delle lastre dello spessore di 25mm sulle pareti laterali dello scafo, mentre sulla fronte erano di 30mm con un'angolazione di 76°. Questo avrebbe dovuto aiutare a deflettere i colpi in arrivo, ma in effetti anche i colpi perforanti di un due libbre inglese avevano effetti devastanti sulle corazze. Non è raro trovare delle foto di tali mezzi in Nord Africa con la corazzatura non solo perforata, ma anche fessurata o spaccata. La corazzatura era studiata per difendere il mezzo dal fuoco di armi di piccolo calibro e dalle schegge, non certo dai perforanti controcarro. Un primo piano tratto dall'immagine precedente permette uno studio più approfondito delle mitragliatrici e del loro alloggiamento. Il mirino telescopico è del tipo articolato in ingrandimento 1x ed un orizzonte visivo di 30°. Le mitragliartici erano inserite in un unico supporto a sfera ce poteva essere brandeggiato a mano su di un arco di 28° ed elevato da -15° a +23°. Era disponibile a bordo una una dotazione di oltre 3000 colpi fra standard e perforanti (24 colpi per caricatore per un totale di 125 caricatori). Le mitragliatrici erano in totale 4: due abbinate nello scafo, una abbinata al cannone in torre ed una antiaerea da montere esternamente sul cielo della torretta. La Breda, o meglio la Breda-SAFAT, derivò la mod. 38 dalla sua mitragliatrice base da fanteria, la mod. 37. La Breda 37 era una mitragliatrice a recupero di gas alimentata da un meccanismo molto insolito: poteve essere alimentata da due "strisce" da 20 colpi ciascuna pusizionata indifferentemente da ambo i lati del castello. La mitragliatrice dopo aver sparato il colpo lo reintroduceva nella "striscia"; questa scorreva fino a che, esaurito il fuoco, non veniva asportata manualmente dal servente. Si trattava di un interessante tentativo di non disperdere l'ottone dei bossoli, ma necessitava di un meccanismo di alimentazione complesso che poteva tendere all'usura ed all'inceppamento. La differenza principale fra la Breda mod. 38 (per uso sui mezzi corazzati) e la mod. 37 (per l'impiego da parte della fanteria) consisteva nel meccanismo di alimentazione previsto per l'accettazione del caricatore curvo da 24 colpi da inserire sul lato superiore dell'arma. Sfortunatamente per chi utilizzava le mitragliatrici Breda i progettisti avevano omesso un sistema di raffreddamento del bossolo esploso prima dell'estrazione dello stesso dalla camera di scoppio. Il risultato era che l'estrazione del bossolo ancora dilatato spesso portava alla divisione dello stesso con il conseguente inceppamento dell'arma. La lubrificazione preventiva delle cartucce e/o della camera di scoppio ne riduceva gli effetti ma non riusciva ad eliminare il difetto. D'altra parte tutte le mitragiatrici Breda erano semplici da manutenere e riparare e largamente apprezzate dai loro utilizzatori. Le breda 38 potevano essere facilmente smontate dai loro supporti e quindi dai veicoli per l'uso all'esterno, nonostante bipiedi e treppiedi non fossero normalmente trasportati sui mezzi. L'immagine ritrae una Breda 38 di un carro italiano catturato e studiato dall'intelligence inglese ed americana. La foto è stata leggermente modificata rispetto all'originale conservato presso l'Aberdeen Proving Ground del Maryland negli Stati Uniti. Un'altra vista del mezzo che stiamo analizzando, ora guardando verso il lato posteriore destro dello scafo. Sull'estrema sinistra la manopola di comando del brandeggio della torre e sono visibili altre rastrelliere per i caricatori delle mitragliatrici. Si nota anche il supporto con annesso seggiolino del capocarro/cannoniere fissato alla struttura della torre. Si vede bene anche parte della trasmissione ai lati della quale spiccano i filtri cilindrici dell'aria. Sono anche visibili i grandi condotti dell'aria che vanno verso il vano motore dall'altro lato della paratia, specie il destro. Ben visibile sopra la campana della trasmissione il filtro del carburante sopra il quale spicca il serbatoio di compensazione del radiatore, al fianco del quale è ben evidente la feritoia per la difesa vicina del mezzo tramite l'armamento individuale che si affaccia sui cofani motore. Ne è visibile anche un'altra nella parte sinistra al centro dell'immagine contornata da altre rastrelliere per il munizionamento. Un'analisi più accurata del disegno qui a lato illustra la disposizione generale della torre. Il grande cestello per l'alloggiamento delle munizioni da 37 mm è sistemato nell parte posteriore della torre con accesso tramite sportelli scorrevoli (come nell'M1 Abrams!). In effetti i cestelli sono due, uno più o meno centrato nella parte posteriore della torre, mentre il secondo continua lungo il lato sinistro della torre fino alla feritoia. Il pezzo da 47/32 è montato centralmente sullo scudo con una Breda 38 abbinata alla sua sinistra (seminascosta nel disegno) ed il puntamento di entrambe le armi è affidato ad un mirino telescopico montato sull'affusto del cannone. L'ottica è simile a quella che abbiamo visto montata sulle due Breda abbinate presenti nello scafo, ma in questo caso il supporto appare più robusto. Anche questo è articolato (il mirino rimane stabile indipendentemente dall'alzo o dalla depressione del pezzo) ma dispone di un fattire di ingrandimento di 1.25 ed un campo visivo di 30°. Il reticolo è graduato ad incrementi di 100m fino ad un massimo di 1200m per il proiettile perforante mod.39. Si tratta di un'ottica non molto valida e certamente molto indietro rispetto a quelle che equipaggiavano la maggior parte dei carri dello stesso periodo. I due periscopi della torre sono entranbi visibili nel disegno, anche se quello del servente è parzialmente coperto dalla Breda antiaerea. Sotto all'ottica di puntamento si trova il volantino di elevazione manuale così come il sistema di brandeggio manuale visibile sull'anello di torretta. Questa immagine mostra la maggior parte dell'equipaggiamento di artiglieria. Ancora una volta notiamo l'indicatore di rirezione/velocità del capocarro assieme al volantini di elevazione manuale dello stesso ed il meccanismo di brandeggio manuale della torre. la breda 38 coassiale è stata rimossa, ma è ben visibile a lato del cannone. Il pezzo utilizzava principalmente due tipi di munizionamento: il perforante mod. 39 e l'alto esplosivo mod. 35. Pesavano rispettivamente 1.4 e 3.4 kg e la velocità iniziale era di 630 m/sec. Il perforante mod. 39 poteva perforare frontalmente un crusader Mk.I a 1200m con un angolo d'impatto massimo di 30°. Ma detto carro era molto poco protetto a differenza del Matilda quasi invulnerabile per l'M13/40 a qualsiasi distanza di tiro ed angolo d'impatto. Il cannone italiano da 47/32 era referenziato per perforare 23 mm di corazzatura a 1500 m; se lo si paragona ai 2 libbre inglesi ed ai 357 mm americani che alla stessa distanza ne penetravano 42mm ne si evince l'inadeguatezza. Talvolta il munizionamento veniva identificato come "perforante 39" o "ordinario 35". Oltre am mod. 39 era disponibile un altro perforante denominato mod. 35 che funzionava su di un principio simile alle moderne cariche cave. Un ingrandimento della zona del cannone mostra ancora un po' di dettagli. Il cilindro del mirino si trova al di sopra del volantini di elevazione manuale e due manopole per la taratura manuale sono visibili sopra ed all'estremità della diottra. L'armamento principale è costitutito dallo cannone da 47/32 mod. 35 che costitutiva l'ossatura dei reparti controcarro e di supporto alla fanteria vista la sua abilità di sparare sia perforanti che proiettili ad alto esplosivo (a differenza dei pezzi inglesi da due libbre). Il disegno originario era della ceca "Bolher" ma il cannone fu prodotto su licenza in Italia a partire dagli inizi degli anni '30. La culatta del pezzo montato sui carri era ruotata verticalmente rispetto a quella del fratello "terrestre" ed il funzionamento era di tipo semi-automatico, ossia che si riapriva automaticamente estraendo il bossolo al momento del ritorno in batteria del pezzo. All'inserimento di un nuovo colpo l'otturatore si richiude automaticamente ed il pezzo è nuovamente pronto al fuoco. Nell'immagine non si ha una buona vista della culatta, mentre l'accumulatore di supercarica è visibile anche se un po' distante. Sotto la fine della scatola di supporto degli organi elastici si trova il dispositivo di sparo di emergenza e la leva meccanica per l'apertura dell'otturatore per l'espulsione di eventuali colpi difettosi e/o inesplosi. Sulla parete della torre è ben visibile un'altra feritoia situata oltre il volantino di elevazione. Il manuale riporta che il carro poteva stivare da 85 a 100 colpi per il cannone, 50 dei quali alloggiati posteriormente e lateralmente all'interno della torre. Gli equipaggi dei mezzi corazzati italiani in Africa settentrionale inizialmente indossavano sopra le uniformi delle tute "da impiego" di colore blu. Dopo un certo periodo di permanenza in Africa iniziarono a portare delle uniformi con camicia e pantaloni color kaki; talvolta i pantaloni erano corti. Anche nel deserto talvolta gli equipaggi portavano pantaloni da cavalleria con scarponcini e gambali, come si può vedere nella foto a lato. In genere portavano anche il caratteristico casco in cuoio nero, facilmente identificabile dalla protezione del collo in pelle con soggolo e fori in corrispondenza delle orecchie. Spesso venivano portati anche dei giacconi in pelle nera e la bustina spesso sostituiva il casco. Notare anche come la ricerca di protezione supplementare portasse a montare nelle parti più esposte al fuoco controcarro nemico maglie di cingolo, sacchi di sabbia, ecc. Quando la protezione balistica dei carri inglesi aumentò, il pezzo da 47mm perse efficacia a tal punto che i mezzi equipaggiati con esso non potessero partecipare fattivamente ai combattimenti fra carri già dalla fine del 1941. Ai tempi della sua concezione il pezzo da 47/32 aveva una resa sufficiente, ma nel 1942 era assolutamente inadeguato a causa della modesta velocità iniziale. Inoltre i nostri carri non potevano sparare in movimento per non sprecare munizioni e mantenere un livello di colpi a segno sufficiente. Ringrazio Piero Podavini per aver contribuito significativamente alla realizzazione di questa scheda senza il quale sarebbe stato impossibile. Grazie anche a Peter per avermi aiutato nella raccolta delle immagini e delle informazioni sugli interni di questo interessante e poco conosciuto mezzo corazzato. Web Magazine | Questo articolo è una traduzione della versione originale pubblicata su AFV INTERIORS di Fabio d'Inzeo, ed è stato cortesemente concesso per la pubblicazione su Modellismo Più da Mike Kendall ed AFV INTERIORS Web Magazine. This article is a translation of the original English version from AFV INTERIORS, and is provided only by permission of Mike Kendall and AFV INTERIORS Web Magazine. | |
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