| Dopo Hiroshima, e ben prima dei missili balistici intercontinentali, l'idea di avere flotte di bombardieri armate di bombe nucleari perennemente in volo presso gli obiettivi nemici stuzzicò non poco la fantasia degli strateghi di ambedue gli schieramenti |
Il bombardiere a propulsione nucleare: un’affascinante pazzia. La fine del 1945 vide gli Stati Uniti come incontrastabile superpotenza mondiale. Un esercito enorme, e tecnologicamente avanzato, metteva il ‘mondo libero’ al riparo da qualsivoglia futura aggressione del blocco comunista. Tutto questo finì nel 1949, allorquando i sensori degli aerei spia americani rilevarono radioattività nei cieli sovietici… La ‘bomba’ non era più un'esclusiva, e nulla sarebbe stato come prima. Era un'epoca di grandi avanzamenti tecnologici: gli aerorazzi statunitensi battevano ogni record di velocità, il magnifico P51 cedeva il passo ad una stupefacente generazione di caccia a reazione. L’atomo sembrava rappresentare la risposta ad ogni problema. Mentre le centrali proliferavano, ed ovunque si alzavano enormi ‘funghi’ sperimentali, schiere di scienziati ed ingegneri studiavano ogni possibile applicazione dell’energia nucleare. Erano tempi pioneristici, di certo un pò troppo ‘disinvolti’, ma pieni d’entusiasmo… Ovviamente non è mia intenzione parlare delle cucine o delle automobili ad energia nucleare (si penso anche a questo !), bensì di qualcosa di molto più interessante, ed inquietante. Ovunque nel Mondo. Durante la seconda guerra mondiale, gli USA impararono assai bene l’importanza di una potente flotta aerea da bombardardamento strategico. Il B29 poteva portare la distruzione, ora atomica, in gran parte del mondo; una guerra nucleare richiedeva tuttavia ben altri tempi di risposta e capacità di sopravvivenza, nonché la possibilità di essere svincolati da basi europee (le prime a cadere in un ipotetico attacco sovietico). Già l’enorme B36 prima, e l’agile B47 dopo, fornirono risposte convincenti. Il rifornimento in volo era agli esordi: nonostante fosse stato intensamente sperimentato dai britannici nel periodo fra le due guerre, alla fine degli anni ’40 era ancora in fase larvale, e scarsamente efficiente. Sembrò sensata la necessità di avere sempre in volo una potente forza da bombardamento nucleare, in grado di raggiungere qualsivoglia bersaglio sul territorio sovietico alle prime avvisaglie di conflitto. Un deterrente perfetto. E cosa poteva tenere in volo una flotta d’attacco per tempo indefinito ? Curtiss LeMay. Il generale LeMay si era distinto nel secondo conflitto mondiale comandando la 20° e la 21° forza d’attacco di B29 in Pacifico. Militare ‘tutto d’un pezzo’ era, politicamente parlando, un vero ‘falco’. Sotto la sua giurisdizione fu inagurato, nel 1946, il progetto NEPA (Nuclear Energy for the Propulsion of Aircraft). Tale studio si prefiggeva la realizzazione di aerei a propulsione nucleare, virtualmente dotati di autonomia infinita. Il fine ultimo era la creazione di un bombardiere ‘perfetto’, in grado di stazionare sull’artico senza limite di tempo che la sopportazione dell’equipaggio, pronto a sferrare un attacco sull’Unione Sovietica in ogni momento. Stop ai militari. Il presidente Truman, preoccupato da questa ed altre iniziative, creò la ‘Commissione per l’Energia Nucleare’: un’autorità civile (al comando del Presidente) che tolse ai militari ogni competenza nel campo della supervisione, dello sviluppo e dell’uso dell’energia atomica. Il progetto NEPA fu dunque portato avanti dalla Commissione, che stabilì alcune linee di ricerca: a) Un aereo dall’autonomia illimitata. b) Un idrovolante atomico ad uso civile per voli transatlantici (ancora sembrava un’idea vincente). c) Idrovolanti atomici per il pattugliamento, destinati all’intercettazione dei futuri sottomarini nucleari. Fondamentale l’apporto della US NAVY, al solito preoccupata di subire gap nei confronti dell’US ARMY e dell’USAF. La costruzione dell’aereo a propulsione nucleare fu approvata dalla Commissione nel 1951: si attendevano i primi due prototipi volanti entro il 1957. Primi problemi. I primi studi riguardarono la protezione dell’equipaggio dalle radiazioni, ed apparve subito evidente la difficoltà dell’impresa. Al peso già impressionante di un reattore nucleare, per quanto piccolo, andava aggiunto il peso improponibile di una protezione totale in piombo… Troppo. Tanto che alcune delle prime direttive appaiono oggi quantomeno bizzarre… i piloti dovevano essere volontari fra i più ‘anziani’, poiché si immaginava che, essendo al termine della loro vita ‘fertile’, non avrebbero procreato più figli (e quindi si evitava il rischio di malformazioni genetiche). Vennero chiamati ‘NEPA’s Men’. L’ NB36. Si arrivò infine a testare un reattore nucleare in volo. L’aereo prescelto fu l’enorme B36. Il B36 nasceva da un progetto della seconda guerra mondiale, inizialmente sviluppato con l’idea di possedere un bombardiere in grado di colpire l’Europa da basi in USA, nel caso il vecchio continente fosse caduto interamente in mano ai nazisti. Inizialmente dotato di ‘soli’ sei motori a pistoni Pratt & Whitney R-4360s, fu successivamente refittato con l’aggiunta di quattro turbogetti General Electrics J47, posizionati in due gondole alle estremità alari. Capace di un autonomia di ben 13.000 km, poteva portare la morte nucleare praticamente ovunque. Non ebbe mai una definizione ufficiale: universalmente noto come ‘PeaceMaker’, si meritò anche l’appellativo di ‘Condominio volante’ e di ‘Soprabito di alluminio’. Il Convair B36 Peacemaker. Nel 1953 un B36 iniziò ad essere modificato per trasportare nel vano bombe di poppa un piccolo reattore nucleare, da ben tre megawatt. Venne dunque rinominato NB36 (dove ‘N’ sta, logicamente, per ‘nucleare’). A livello teorico un reattore avrebbe potuto alimentare elettricamente i motori ad elica, ma tale opzione non fu considerata: lo scopo finale sarebbe stato alimentare dei turbogetti sostituendo il calore del reattore al processo chimico ottenuto dall’iniezione del carburante nel bruciatore della turbina. Il disegno ultimo era denominato provvisoriamente X6. L’NB36, con una sezione prodiera totalmente modificata per ospitare una complessa cellula antiradiazioni da 12 tonnellate (piombo, plastica ed intercapedini piene di acqua), volò per la prima volta il 17 settembre del 1955. La prua dell’NB36. Portava in volo cinque uomini d’equipaggio: pilota/copilota/specialista di missione e due scienziati nucleari. Fece 47 voli fino al 1958, per un totale di 215 ore. In sole 89 di queste il reattore fu attivo, senza peraltro partecipare in alcun modo alla propulsione dell’aereo. L’NB36. Lungi da avere una qualsivoglia importanza per lo studio di una futura propulsione atomica, l’NB36 servì fondamentalmente solo per studiare la fattibilità di schermi antiradiazioni in grado di assicurare la sopravvivenza dell’equipaggio. Fra i primi studi ‘derivati’, si incontra spesso questa interessante artwork, raffigurante un futuro bombardiere con la sezione prodiera intercambiabile: Ogni volo dell’NB36 fu seguito da vicino da almeno un aereo da trasporto truppe, carico di Marines, il cui scopo (esplicitamente suicida, diremmo oggi) consisteva, in caso di schianto a terra dell’NB36, nel paracadutarsi in zona per isolarne l’accesso a chiunque e permettere una rapida bonifica. Coraggiosi, coraggiosi e ‘pazzi’… un aggettivo che ricorrerà spesso in queste mie quattro righe. Un reattore non poteva essere dotato dei sistemi di sicurezza, invero efficienti, di una bomba atomica… il materiale fissile si sarebbe sparso per la zona dell’incidente, esercitando la sua azione mortale senza scampo. Dopo l’ultimo volo, l’NB36 venne ‘smaltito’, con un lento processo durato sei mesi. Tutte le sue parti contaminate vennero smantellate e seppellite. Ciclo diretto ed indiretto. Come si è detto, il calore provocato da un reattore avrebbe dovuto sostituire la normale reazione chimica provocata dall’introduzione di carburante in un reattore. Due gli approcci: a) Il ciclo diretto: un reattore nucleare ‘aperto’; l’aria della turbina passa direttamente nel nucleo incandescente del reattore, il vapore ad altissima temperatura sostituisce il carburante nel motore, garantendo una spinta virtualmente inesauribile. Il ciclo diretto. Aveva l’indubbio vantaggio di una relativa semplicità, ed un ‘basso’ peso… tuttavia gli inconvenienti erano importanti… Un circuito ‘aperto’ di questo tipo era particolarmente soggetto all’usura, con conseguenze potenzialmente catastrofiche e, peggio ancora, comportava una notevole contaminazione radioattiva dell’atmosfera. Cose che oggi sembrano assolutamente inconcepibili ma… Allora sembrava più che probabile… certo, il prossimo avvento dell’Armageddon. Il mondo intero pareva sacrificabile alla logica del ‘noi contro loro’. Erano tempi manichei, in bianco e nero. Era facile capire. Ugualmente era facile ‘non capire’ fino in fondo l’orrore che si stava preparando. La dicotomia dell’uomo dell’era atomica. Tornando in argomento… La General Electrics si dedicò allo studio di questa forma di propulsione. b) Il ciclo indiretto: un reattore nucleare ‘chiuso’: la turbina ed il reattore sono separati e schermati; una condotta sigillata di metallo liquido, a contatto con il reattore, provoca nel motore il giusto surriscaldamento dell’aria tramite contiguità. Il ciclo indiretto. Fu la Pratt & Withley a lavorare su questa configurazione. I vantaggi erano innegabili, ma ogni necessaria tecnologia per lo sviluppo era soltanto teorica, e si prospettava un peso proibitivo per l’ingegneria aeronautica di allora. Scenari da fantascienza. Traccio un attimo il punto delle aspettative dell’epoca. Si immaginavano giganteschi bombardieri, in grado di rimanere MESI in aria… tanto da richiedere periodicamente non il rifornimento in volo di carburante, bensì un ricambio di equipaggio con la stessa modalità ! Un gigante atomico rifornisce in volo due bombardieri. Stazionanti in volo sull’Artico, dove la radioattività derivante dalla propulsione si pensava avrebbe comportato danni minimi, sarebbero partiti da basi in isole deserte, con piste lunghe molte miglia, magari ottenute modellando la morfologia delle stesse isole a colpi di atomiche. Allora sembrava auspicabile. Se a qualcuno quest’uso (teorico) dell’atomo sembra assurdo, vorrei far presente una piccola ‘chicca’: ‘L’ordigno fine di mondo’ (Doomsday machine) del film ‘Il Dottor Stranamore’ non era un parto della fantasia. Nel 1960 la Rand Corporation, vera ‘eminenza occulta’ negli USA della guerra fredda, propose uno studio di fattibilità per la creazione di un ordigno nucleare di inusitata potenza, la cui esplosione avrebbe irrimediabilmente contaminato l’intero globo. Tale ‘deterrente ultimo’ sarebbe entrato automaticamente in azione allorquando i suoi sensori, sparsi in tutti gli Stati Uniti, avessero rilevato l’equivalenza dell’esplosione di almeno cinque testate termonucleari… Idee pazze per tempi dominati dalla paura. WS125. Contemporaneamente all’NB36, il generale LeMay portava avanti un progetto ben definito di bombardiere atomico: il WS125. Di curiosa morfologia, doveva essere progettato e costruito dalla Convair, la stessa che produceva il B36. Aveva motori a ciclo diretto e, grazie anche a quanto appreso con l’NB36, sembrava aver trovato un giusto compromesso peso/schermatura. L’esperienza dell’NB36 aveva permesso una positiva sperimentazione di schermature ‘a strati’, mirate, distribuite fra reattore ed abitacolo, atte a bloccare selettivamente i diversi tipi di particelle radioattive. Questo schermo, detto ‘ombra’, pesava sensibilmente meno di una copertura di piombo ‘tradizionale’, pur garantendo (teoricamente) la salvaguardia dell’equipaggio. Il WS125. Il WS125 non lasciò mai il tavolo da disegno. E dunque non ricevette mai la ‘B’ dei bombardieri. Nel caso, sarebbe stato probabilmente denominato ‘B72’. Arriva la tempesta. Nel 1953, Dwight D. Eisenhower divenne presidente degli Stati Uniti. Il vecchio militare si fidava poco delle lobby industriali, e guardava con grande sospetto le innovazioni tecnologiche. Fu scettico, sbagliando, riguardo le potenzialità della missilistica; ugualmente rimase insensibile al richiamo del ‘bombardiere a propulsione nucleare’. La US Navy aveva avuto, per breve tempo, un proprio programma destinato alla realizzazione di un bombardiere nucleare…aveva pensato agli idrovolanti, considerando il mare un’ottima piattaforma, sia per lunghi decolli che in sostituzione di basi probabilmente nuclearizzate dal nemico… Abbandonò presto l’idea, scoprendo che un reattore nucleare, con tanto di schermatura, poteva essere facilmente integrato in un grande sottomarino, e che quest’ultimo poteva portare missili a corto e medio raggio ovunque nel Mondo. Il Nautilus statunitense dimostrò le sue capacità raggiungendo il Polo Nord già nel 1959, tuttavia ben due anni prima i sovietici avevano stupito il mondo lanciando un satellite in orbita. Andava da se che il missile R7, che aveva portato su lo Sputnik, era ugualmente in grado di lanciare testate termonucleari su ogni parte del territorio USA. Nel 1956 si erano svolti i primi esperimenti a terra di reattori a ciclo diretto funzionanti, presso la General Electrics… le potenze si erano però dimostrate inadatte ad un uso pratico, e lo sviluppo procedeva con una lentezza esasperante. Nel 1958 Ike blocco tutti i progetti della NEPA. Con il suo competente staff aveva potuto dimostrare facilmente che: a) Il rischio che un bombardiere atomico avesse un incidente era inaccettabile. b) Il ciclo diretto era troppo inquinante. c) La sicurezza dell’equipaggio non era garantita. d) Ike sapeva cose che altri … non sapevano. Di questo ne riparleremo dopo. La minaccia sovietica incombe ? Nel dicembre del 1958 la prestigiosa rivista d’aviazione ‘Aviation week’ annunciò che i sovietici avevano in servizio un bombardiere a propulsione atomica. La notizia, forse pilotata, comportò non poco panico fra gli osservatori occidentali. Eisenhower si ritrovò quasi costretto a ‘riaprire’ i progetti della NEPA, in attesa di capire l’effettiva entità della nuova minaccia. In effetti il bombardiere sovietico esisteva, ma era solo un prototipo e, soprattutto, era tutt’altro che a propulsione nucleare. Il Myasishchyev M50 (nome Nato: Bounder) era un quadrimotore dalla linea particolare, ma decisamente convenzionale nel progetto. Oltretutto, sottopotenziato e di mediocri prestazioni, venne presto abbandonato dall’aviazione dell’URSS. Il ‘Bounder’. A che punto erano davvero i sovietici ? Nonostante gli anni, ed i regimi, passati… si sa ancora molto poco dei programmi sovietici riguardo un bombardiere nucleare. Ci sono notizie di improbabili progetti mastodontici, come quello di un idrovolante di ben (!) 1000 tonnellate… Molto più interessante, per quanto piena di contraddizioni, la notizia che i russi avrebbero più volte portato in volo un TU 95 Bear con un reattore nucleare all’interno. Le molte fonti non hanno ancora reso chiaro se si trattò di una serie di voli sullo stile dell’NB36, oppure, come si vocifera, furono effettivamente provati in aria dei reattori a ciclo diretto… peraltro con effetti devastanti sugli equipaggi. Il pilota russo Guerinon ha parlato di circa 40 voli, eseguiti con un Bear dotato di due turboelica e due reattori a ciclo diretto. Complice una schermatura pressoché inesistente sarebbero stati soltanto tre i sopravvissuti odierni al cancro degli equipaggi impiegati. In ogni caso, non si hanno documenti cui attingere. Rimaniamo nel campo delle illazioni. Ultimi fuochi. Quando Kennedy assunse la presidenza, anche accusando Eisenhower di lassismo nei confronti della minaccia comunista, rimase alquanto perplesso scoprendo ciò che Ike sapeva. I voli spia, i primi U2 ed i satelliti spia ‘Corona’ avevano rivelato il bluff sovietico. Il blocco comunista possedeva molti meno bombardieri, e molti meno ICBM di quanto l’occidente paventasse. Non c’éra alcun gap. I sovietici avrebbero raggiunto una sostanziale parità con gli USA, in fatto di armi di distruzione di massa, solamente con Breznev anni dopo. Privilegiando gli affidabili sottomarini, ed i performanti ICBM, Kennedy cancellò una volta per tutte ogni investimento sul NEPA. Oltretutto il rifornimento in volo, ormai collaudatissimo e di uso comune, rendeva inutile anche solo l’idea di un aereo a propulsione nucleare. In quei giorni i primi reattori affidabili e ‘leggeri’ per aerei iniziavano a funzionare presso la General Electrics e la Pratt & Whitney… salvo essere subito spenti ed abbandonati. Cartoline dall’Apocalisse Tuttavia, il progetto più pazzesco era ancora allo studio. 1957: la guerra fredda impazza, e la Voult propose il progetto di un missile cruise a propulsione nucleare dalle inusuali caratteristiche; forse l’arma aerea di distruzione più ‘maligna’ mai concepita. Si trattava di un elegante aereo missiliforme: il suo nome era ‘Slam’ od anche ‘Pluto’ (Plutone, il dio degli inferi del pantheon greco-romano). Lanciato da terra con dei boosters, avrebbe acceso il suo motore, un RAM-JET in anticipo sui tempi, solo allorquando molto distante dal territorio ‘amico’. Il RAM-JET era potenziato da un reattore nucleare a ciclo diretto, piazzato a mò di after burner. Una volta sul territorio nemico avrebbe volato a bassissima quota, grazie ad un sofisticato sistema computerizzato, a velocità sull’ordine dei mach 3 ! A questo punto ci si aspettava un insieme di azioni distruttive senza precedenti: a) Il semplice passaggio dell’ordigno avrebbe provocato catastrofi per l’intenso spostamento d’aria. b) Il reattore avrebbe lasciato una scia di radiazioni mortali, in grado di uccidere e sterilizzare ogni forma di vita nelle vicinanze. c) Carico di bombe termonucleari, avrebbe colpito più di un obbiettivo diverso. d) L’aereo stesso si sarebbe schiantato, magari armato di un ulteriore ordigno nucleare, su di un bersaglio prestabilito a fine corsa… tuttavia anche il semplice reattore avrebbe già comportato una contaminazione gravissima in qualunque posto il ‘Pluto’ avesse terminato il suo volo. Il Pluto. Anche quest’ultima pazzia non ebbe realizzazione pratica, e fu cancellata definitivamente nel 1964. Al contrario di altri progetti, lasciò un’eredità concreta: il suo sistema di guida fu alla base di tutti i missile ‘cruise’ statunitensi. Salute e Latinum per tutti ! | |
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