Il
Il vicino di casa (Somalia 1951 - AFIS)
Argomento: Storia : Moderna Data: 14/3/2009
Quando nel Gennaio del 2009 mi sono trasferito nel mio nuovo appartamento, ho ricevuto la visita del mio vicino di casa, una sorta di visita di benvenuto d’altri tempi, accompagnata da una pianta ornamentale per la padrona di casa.
Lui e la moglie sono una tranquilla coppia sugli ottanta.
Incuriosito dai libri di storia che tengo in bella mostra sulla scrivania, mi ha raccontato di essere un Carabiniere in pensione.
Alla mia domanda: “…ufficiale o sottufficiale?” con orgoglio ha risposto: “No, semplice appuntato!”
E davanti ad un caffè, mi sono fatto raccontare la sua storia. Pensavo ad una chiacchierata sui generis, invece aveva risvolti interessanti.


Arruolatosi a 19 anni nei Reali Carabinieri, appena scoppiata la guerra, dopo un brevissimo periodo ad Ascoli, fu comandato a Fiume.
A Fiume fu assegnato alla guardia del silurificio Whitehead e vi rimase ben oltre l’armistizio.
Il posto era tranquillo e non partecipò a nessuno scontro a fuoco, fino a che, una mattina di fine Settembre, il Comandante radunò il presidio e domandò “…chi voleva andare con Mussolini e chi voleva andare con il Re…”.
Il nostro aveva appena 21 anni.
Lui ed il resto del presidio avevano appreso la notizia dell’armistizio dalla radio e non avevano ricevuto alcun ordine su come comportarsi: ”…. e cosa vuole che ci abbia capito io! Ero un Appuntato, venivo da un paesino delle Marche, mi ero ritrovato a Fiume a far la guardia ad una fabbrica di bombe d’aereo, che ne sapevo di armistizi e politica, avevo giurato per il Re e scelsi di rimanere con il Re…”.
Quello che racconta dopo mi lascia di sasso: “…quelli che scelsero di seguire Mussolini furono messi su dei camion e portati via, agli altri fu detto di recarsi ‘con mezzi propri’ ai distretti di appartenenza!”
Restano in caserma per 24 ore, senza rancio ne ordini precisi, la sera, il nostro Appuntato prende da solo una decisione: con la sua cassettina di ordinanza ed il pastrano, disarmato, prova a recarsi “con mezzi propri” a Firenze.
Riesce a proseguire in treno sino ad Trieste, poi il caos.
“Forte della mia gioventù, mi disfo della divisa e rimedio qualche abito civile, e mi incammino, sì, ha capito bene, vado a piedi verso Firenze, calcolando di riuscire a raggiungere il comando in circa dieci giorni.
Ma solo per riuscire a raggiungere Verona, impiegai dieci giorni, saltando dentro ai fossi alla vista dei tedeschi e mangiando quando si rimediava qualcosa. Nella campagna di Verona trovo un cavallo abbandonato….ci crede che sia arrivato fino a quaranta chilometri da Firenze su quel cavallo?”.
E per forza ci devo credere………
“Avevo una fame boia ed ho scambiato il cavallo da un contadino con della roba da mangiare, e finalmente mi presento al comando di Firenze.”
“Ci doveva essere il caos totale” dico io.
“Lo sa che non mi hanno fatto tante domande? Si sono limitati a vedere i documenti, darmi una divisa con le maniche lunghe ed i pantaloni corti, una licenza di 20 giorni e l’ordine di presentarmi ad Ascoli alla fine della licenza.
Era Novembre, quando sono uscito dal comando, invece che ad Ascoli andai verso Campobasso dove c’era una mia zia. Quella scelta mi ha salvato la vita, neanche so quale Santo mi ha dato l’idea, non sapevo nulla dei miei genitori e di mio fratello, Carabiniere pure lui, ma se il Re stava in Puglia, a sud dovevo andare, non al nord.
Ho finito la guerra al Comando di Campobasso, in un paesello sperduto di 50 persone, con un 91 corto scassatissimo, una bicicletta, e due divise vecchie pure loro, io ed un Maresciallo di Sanremo!
La guerra finisce e mi mandano a Roma.
Ho fatto la guardia ai seggi in una scuola dalle parti di Frascati, al referendum votai per il Re, poi mi arrivarono le prime politiche e non sapendo che pesci pigliare misi il segno sul “Fronte dell’Uomo Qualunque”, era un partito fondato da uno che scriveva commedie….ne ha sentito parlare? Poi sono riuscito a far venire a Roma la mia fidanzata….”
“Da dove?” interrompo io.
Mi guarda sorpreso: “Ma da Fiume!
Mi volevo sposare, e capita che nel 1949 sento parlare dell’AFIS (Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia ndr).. Io come le ripeto, politica zero, sapevo che si trattava di andare nelle colonie ( :-) ndr) , pagavano per un anno di servizio qualche soldo in più, io mi volevo sposare e chiesi di andare.
Ci imbarcano a Grosseto su una motonave civile ed in quattro/cinque giorni di viaggio siamo in Africa, niente profilassi antimalariche, visite mediche, addestramento speciale….la Beretta, il 91 corto, due divise estive, due invernali, un paio di sandali e –Vai!-.
Ricordo benissimo quando passammo per Suez.
Sbarchiamo a Mogadiscio e troviamo ad attenderci dei camion inglesi credo, ci fanno salire su e dopo otto ore, otto allucinanti ore di cassone su una strada che era una strada solo perché era poco più liscia della pietraia che gli stava intorno arriviamo a Berbera, dove sono rimasto 12 mesi esatti prima di tornare a Roma e sposarmi.
Com’era laggiù?
Nessuna avventura, tutto tranquillo.
Noi stavamo di qua, gli ascari di là.
Si faceva qualche pattuglia e si rientrava nel vecchio fortino coloniale che faceva da caserma, si trattava con l’arabo che ci portava la vacca da macellare per la carne, l’acqua…… siccome sapevo macellare le bestie, un giorno sì e uno no stavo in cucina, ammazzavo la vacca e la preparavo per i cuochi, qualche volta cucinavo pure, nessuno si è mai lamentato, anzi! Tornato in Italia sono finito nelle cucine….
Il soffitto della cucina del fortino era coperto di caschi di banane, quelle non mancavano mai.
Di libera uscita neanche a parlarne, in “paese” non c’era nulla e quelli del posto non ci erano né ostili né amici, un paio di volte ci invitarono a qualche loro festa di piazza dove c’erano balli e canti, insomma si ammazzava il tempo con qualche pattuglia nell’entroterra su un grosso camioncino americano, mangiando banane e ascoltando la radio.
Di disordini ed incidenti non ricordo nulla, né al paese né di pattuglia, era come se fossimo trasparenti.
Dopo tre mesi avevo due palle così (ampio gesto con le braccia), ma in fondo ero contento di questa tranquillità, e quando prendevo il soldo e pensavo alla fidanzata, avevo un motivo in più, per far passare il tempo. Passato anche quell'anno, una nave mi riportò a Napoli, poi in treno a Roma ed eccomi qua... ”

E in fondo, non mi pare poco.

Mi ha mostrato queste 6 fotografie, non sgranate gli occhi, nienti carri, aerei o combattimenti, solo scene di vita quotidiana, eccone una, le altre sono visibili CLICCANDO QUI



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