: Battaglia del fiume Trebbia |
Inviato da Lisandro il 7/9/2013 18:17:48 (4358 letture)
| Lo scontro avvenne il 18 dicembre del 218 a.C. Annibale combatte la sua seconda battaglia in territorio italiano contro le legioni romane, al comando delle truppe romane vi è il console Tiberio Sempronio Longo. | Questo scontro arriva dopo la prima battaglia tra le truppe puniche e quelle romane, si incontrarono sul Ticino e i romani vengono sconfitti clamorosamente. Publio Cornelio Scipione ferito e salvato dal giovane figlio ( il Futuro Scipione Africano ) le truppe si ritirano verso la colonia di Placentia ( Piacenza ) per riorganizzare le fila. Nella zona collinare di Placentia la cavalleria Numida e gli elefanti non potevano essere impiegati al meglio delle loro possibilità ma Scipione sapeva di non poter resistere a lungo. La dea bendata soccorre i romani, i cartaginesi perdono tempo a esplorare il campo abbandonato e i romani riescono a distruggere il ponte di barche sul fiume ritardando l’avanzata dei punici. Questo ritardo permette ai due consoli di riunire le truppe. Sempronio era in Sicilia con il mandato del Senato di portare la guerra in territorio africano ma, ricevuto l’ordine di rientrare in Gallia Cisalpina, in soli 40 giorni si porta sul Trebbia ( non si sa se marciando o via mare come sostiene Tito Livio ) con il suo esercito formato da due legioni. Mentre Scipione cercava di prendere tempo contando sul peggiorare del tempo ormai vicino all’inverno, Sempronio era smanioso di concludere il tutto entro la fine del suo mandanto, fine imminente, non voleva lasciare l’onore e la gloria di sconfiggere Annibiale ad altri. Sempronio contava sulle forze disponibili che era tutto sommato più che sufficienti a vincere uno scontro del genere. Annibale aveva i suoi problemi, non riusciva a reclutare combattenti tra i Galli per ingrossare le sue fila, questi aiutavano l’esercito punico con cibo e rifornimenti ma non erano accorsi in massa ad ingrossare le file del Barca che si proponeva come liberatore delle tribù galliche dal giogo romano. Queste ultime erano prese tra i due fuochi e ben attente a non sbilanciarsi troppo in un senso o nell’altro, memori delle numerose sconfitte contro Roma.In questo scenario Annibale decide di forzare la situazione ed incomincia a razziare i villaggi galli: « Il territorio fra il Trebbia e il Po era allora abitato da Galli i quali, in quella lotta fra due potentissimi popoli, miravano senza dubbio a favorire or l'uno or l'altro, per avere poi la benevolenza del vincitore [...] ne era irritato Annibale, che andava dicendo di essere stato chiamato dai Galli a liberarli. Per ciò e per nutrire le truppe con prede ordinò a duemila fanti e mille cavalieri, Numidi per la maggior parte, con l'aggiunta di alquanti Galli, di saccheggiare tutto il paese via via fino alla riva del Po. » | (Tito Livio, Storia di Roma (Ab Urbe condita libri), XXI, 52, ) Le tribù celtiche che non erano in grado di difendersi chiesero aiuto ai romani, Scipione era scettico,aveva già provato sulla sua pelle la fedeltà dei galli ma Sempronio considerava un’occasione d’oro difendere i Soci ed entrò in azione. Mandò delle truppe a limitare i danni, secondo Polibio: | « la maggior parte dei cavalieri e con loro mille fanti armati di lancia. Costoro rapidamente assalirono i nemici al di là del Trebbia e contesero loro il bottino, sicché i Celti furono vòlti alla fuga con i Numidi e si ritirarono nel proprio campo. Quelli che presidiavano il campo [...] da lì portavano soccorso ai compagni in difficoltà [...] i romani cambiarono di nuovo direzione e ripartirono per il loro campo. » Sotto la spinta dei romani i cartaginesi ripiegano verso il loro campo, Annibale trattiene i suoi e i romani tornano al loro accampamento, aveva inflitto parecchie perdite ai nemici ed erano eccitati e sicuri di vincere. Sempronio era deciso a risolvere tutto in uno scontro campale, volle comunque discutere con Scipione il da farsi. L’opinione di Publio era di restare fermi durante l’inverno addestrano l’esercito e contando sull’incostanza dei galli che, inattivi tutto l’inverno, avrebbero disertato le fila puniche. Annibale voleva invece concludere, sfruttando i galli ancora motivati e le fresche ferite di Publio insieme alla poca esperienza delle legioni che aveva di fronte. A tal fine prepara un’altro degli stratagemmi che lo hanno reso immortale, chiede a Magone ( suo fratello minore ) di selezionare duecento uomini scelti tra fanteria e cavalleria, chidendo poi a questi di scegliere nove compagni tra i veterani. Creato il distaccamento ordina a Magone di andare a nascandersi tra i rovi e i canneti presenti nel letto del torrente. Siamo a dicembre e la temperatura non è clemente, i punici fanno colazione mentre la cavalleria numida và a provocare i romani direttamente al loro campo. Sempronio è impulsivo e Annibale lo sà, appena vede le truppe numide scatena le sue legioni fuori dal campo. E qui il console commette un errore tattico fondamentale, i romani non hanno fatto colazione e non sono equipaggiati al meglio per resistere al clima rigido. Si buttano all’inseguimento dei numidi, guadano il fiume gonfio per le piogge della sera prima, arrivano sulla sponda contraria bagnati, digiuni e ghiacciati. Le truppe di Annibale hanno aspettato al caldo e al riparo, i soldati sono stati unti di olio per impermeabilizzare le pelle, fatto colazione......sono freschi e riposati. Solo quando fu annunciato chi i romani avevano passato il Trebbia l’esercito punico fu disposto in ordine di battaglia. Questo era formato da truppe mercenarie di tutto il mondo antico, frombolieri dalle Baleari ( i migliori su piazza ), truppe leggere composte da Galli e Iberi per un totale di ottomila uomini a cui vanno aggiunti opliti pesanti reclutati tra Iberi, Celtiberi e Libi, altri ventimila uomini. Due ali di cavalleria di diecimila uomini ciascuna ( cavalieri Galli, Iberici e Punici ) che proteggono lo schieramento. Gli elefanti superstiti sono sistema davanti alle ali di cavalleria. Sempronio arriva davanti allo schieramento Romano, la sua cavalleria è dispersa per inseguire i Numidi, deve fermarli e porli, come da manuale, ai lati della fanteria romana. Diciottomila romani, ventimila socii latini e un numeri imprecisato di Galli Cenomani ( gli unici rimasti fedeli ai romani ). La cavalleria è di soli quattromila elementi. La battaglia inizia con la fanteria leggere romana in difficoltà, bagnati ed infreddoliti hanno usato parecchi dardi contro i cavalieri numidi e quelli rimasti sono zuppi... Anche la cavalleria è nelle stesse condizioni. I fanti leggeri si ritirano nelle fila della fanteria pesante romana, la cavalleria cartaginese entra in azione e pressa le ali romane inferiori numericamente e per esperienza. Le ali romane cedono, i fianchi dello schieramento romano sono attaccate dalla cavalleria numida e dai lanceri cartaginesi. La pressione sui fianchi impone al centro dello schieramento di riorganizzarsi, solo la pesante fanteria romana riesce a reggere il fronte. A questo punto Magone entra in azione e attacca i romani di sorpresa dal nulla. Le ali romane si danno alla fuga, resta solo il centro dello schieramento di fanteria pesante romana, accerchiato da Magone e dal suo contingente. La prima linea romana riesce a spezzare il fronte di Celti e Libici ma non riesce a prestare soccorso al resto dell’esercito,un saggio tribuno porta diecimila legionari al sicuro a Piacenza. Il resto dell’esercito viene annientato sul Trebbia, cavalleria ed elefanti completano il disastro romano. Publio Cornelio riorganizza quello che rimane e ripiega su Piacenza e poi Cremona per non mandare il crisi la logistica piacentina. Cartagine ha conquistato quasi tutta la Valle Padana, la Gallia Cisalpina è Punica, Baal regna sovrano. Sempronio Longo avverte il Senato Romano che la causa della sconfitta era stata il tempo avverso, ma dopo qualche tempo fu chiaro che la sconfitta non poteva essere attribuita alla pioggia o al freddo ma alla superiore capacità tattico strategica dell’esercito punico.
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