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Storia : Moderna : Dal Luglio al Settembre del 1943 parte terza
Inviato da Giulio_Gobbi il 23/2/2007 10:08:14 (2429 letture)

Storia : Moderna
Le ore che intercorsero fra il 7 ed il 9 settembre 1943, furono probabilmente le più buie e vergognose di tutta la storia d’Italia.
Con l’alba del 10 settembre, terminerà il terzo ed ultimo episodio della serie, serie in cui ho cercato di ricostruire e far comprendere, riuscendovi forse in parte e con tutti i limiti dello “storico dilettante”, quel gigantesco pasticcio che fu l’armistizio.


Avevamo lasciato il Generale Castellano appena rientrato a Roma da Cassibile, egli il giorno 1 riuscì finalmente a vedere il Re e Badoglio, ed a esporre la situazione in una riunione tenuta durante la mattinata, presenti anche Ambrosio e Guariglia.
Badoglio ascoltò le reazioni degli alleati alle sue richieste a capo chino e con un’espressione corrucciata, il Re chiese di restare solo per riflettere.
Alle 17.30 Vittorio Emanuele III decise di mandare il seguente telegramma al comando alleato:
“La risposta è affermativa – Punto – In conseguenza nota persona arriverà domani mattina ora et località stabilite – Punto – Pregasi confermare” (10)

La conferma da parte Alleata giunse però solo il giorno seguente, e soltanto per le prime ore del 3 settembre fu possibile approntare un SM79 che pilotato dal Maggiore Vassallo, pilota personale di Ambrosio, accompagnò Castellano ed il Maggiore Marchesi a Cassibile.
Il Re e Badoglio non presero una posizione chiara, e Castellano giunse nuovamente al cospetto degli Alleati privo di credenziali, e se la vide molto più brutta della volta precedente.
Gli Alleati parlarono apertamente di “italiani inaffidabili” e di “armistizio come trappola per favorire i tedeschi”. Tra l’altro l’OSS (il servizio informazioni Americano) aveva redatto su Castellano un rapporto non proprio lusinghiero: era ritenuto in combutta con il prefetto di Roma, Temistocle Testa, convinto filotedesco. Il suo reale obbiettivo non era l’armistizio, ma diventare dopo di esso il plenipotenziario italiano al fine di combinare lucrosi affari commerciali. Per questo motivo, stava ritardando le trattative.
L’indecisione del governo ed il rapporto dei servizi Americani (esatto o no) su Castellano, avevano reso Eisenhower diffidente oltremisura, stava per andare tutto a monte.
Castellano venne piantato fuori dalla tenda del Comando sotto al sole mentre lo Stato Maggiore Alleato discuteva, poi gli fu permesso di inviare telegrammi. Ne conseguì un inverecondo scambio di scritti fra un Castellano disperato e spaventato e Roma. Doveva essere tesissimo, si dice che scattasse sull’attenti al passaggio di ogni uniforme alleata, dal Caporale al Generale di Brigata.
Questo è il testo del telegramma giunto da Roma alle 14.00:
“Presente telegramma est diretto da Capo Governo Italiano al Comandante Superiore di tutte le Forze Alleate. Numero otto. Risposta affermativa data con nostro numero cinque contenente implicitamente accettazioni condizioni di armistizio. Badoglio”. (10)
Non bastò a convincere gli alleati, alle 16.00 finalmente, il Re e Badoglio dopo un telegramma da parte di Eisenhower che era una chiara minaccia presero una posizione ufficiale:
“Il nostro numero otto è cancellato. Il Generale Castellano è autorizzato dal Governo Italiano a firmare l’accettazione delle condizioni di armistizio. La dichiarazione che avete chiesto con il vostro diciannove è stata consegnata. Badoglio” (10)
La dichiarazione richiesta dagli alleati, era di avere un documento scritto e firmato dal Re e dal Capo del Governo, in cui Castellano era nominato plenipotenziario del Governo Italiano. Tale dichiarazione era nelle mani di Osborne, rappresentante diplomatico Inglese presso la Santa Sede quando il telegramma fu spedito. La misura era necessaria, agli occhi degli Alleati, per avere la sicurezza che l’armistizio non potesse essere sconfessato.
Sono le 17.30 del 3 settembre 1943, sotto una tenda di Cassibile o Fairfield Camp, l’armistizio fra l’Italia e gli Alleati viene firmato. Ecco come Castellano descrive la scena:

“…Eisenhower è in piedi dietro un grosso tavolo. Sono presenti oltre a Bedell Smith, il Generale Strong, il Generale Rooks capo del reparto operazioni, il Commodoro Dick e il Capitano Dean, interprete. Mentre sto per entrare nella tenda ne escono due borghesi in maniche di camicia. Sono i consiglieri diplomatici di Eisenhower che non rimarranno presenti per sottolineare così, con maggiore evidenza, che l’armistizio è un fatto prettamente militare…” (9)
Una fotografia ha tramandato la scena al di la di quello che descrive Castellano.
Castellano è in piedi in angolo in borghese, sorrisetto sulle labbra, impomatato, aria da faina, mentre Bedell Smith sigla i documenti per gli alleati. Vestito buono di lana, fazzoletto bianco al taschino della giacca, scarpe nere lucidissime, in una giornata torrida sotto una tenda che doveva avere una temperatura da altoforno, circondato da alti ufficiali Alleati in uniforme estiva. Ma non era un Generale? Un “fatto prettamente militare”!
Il consigliere presidenziale Harry Hopkins commentò “…sembra il proprietario di un ristorante italiano dell’East Side…”(10).

Subito dopo la firma, Eisenhower salì sul suo aereo per tornare al comando di Algeri, evitando il brindisi a base di whisky offerto spontaneamente da Alexander, pensava di aver chiuso quella che lui chiamava “una sporca faccenda”.
Nella stessa giornata i primi soldati Alleati sbarcarono a Reggio Calabria.

Il giorno 4, Castellano era nuovamente a Roma e fece rapporto al Re e a Badoglio. Ritenne, da sue personali impressioni, che gli Alleati avrebbero comunicato l’avvenuta firma dell’armistizio il giorno 12. Questa errata supposizione, provocherà enormi sciagure.

Il giorno 6 un telegramma del Comando Alleato di Algeri che comunicava che dal giorno 7 ogni giorno poteva essere quello dello sbarco, gettò nel panico l’intero Stato Maggiore Italiano.

All’alba del giorno 7, prendendo rischi elevatissimi, il Generale Americano Maxwell Taylor, ed il Colonnello Gardner, giunsero nella capitale, per concordare con lo Stato Maggiore Italiano i dettagli dell’aviosbarco della 82a divisione aerotrasportata americana di cui Taylor era comandante.
L’operazione, denominata in codice “Giant”, oltre al lancio dei paracadutisti, prevedeva che truppe Alleate effettuassero uno sbarco risalendo il Tevere. I due ufficiali erano dotati di radio e cifrari per poter contattare direttamente Eisenhower.
A Badoglio prese un colpo: non voleva assolutamente parlare con “quei cow-boys”, non sapeva cosa fare e dire, incaricò Carboni di “distrarli”, considerato che Ambrosio era a Torino per “affari privati”, (un trasloco!) e non poteva fornirgli un paravento.
Gli Americani rimasero molto perplessi da quello che accadde.
Carboni gli fece da autista in un giro per Roma, con i due americani sul sedile posteriore tesi come corde di violino e pronti con la pistola in pugno ad ogni posto di blocco. Da autentica “Maitresse”, gli fece balenare davanti agli occhi una cena sfarzosa, una carta dei vini da favola e allegra compagnia a Palazzo Caprara. Tanto per ingannare piacevolmente il tempo nell’attesa che, Badoglio o Ambrosio si decidessero a riceverli.
Mentre faceva la guida turistica, illustrò ai due Ufficiali Alleati la situazione militare, ma dipinse un quadro catastrofico. Si qualificò come Comandante del Gruppo Motocorazzato che aveva il compito di difendere Roma. Non poteva tenere gli aeroporti intorno alla capitale in quanto già occupati dai Tedeschi(in realtà solo Ciampino e Pratica di Mare erano occupati, Centocelle e l’Urbe erano saldamente in mano italiana), non poteva fornire nessun tipo di appoggio militare perché era senza munizioni e carburante, quanto tenere il perimetro della Capitale….nemmeno a parlarne! Non c’era da fidarsi nemmeno della fedeltà e combattività delle sue truppe qualora si trovassero di fronte ad un attacco tedesco.
Un quadro ben diverso di quello che fa nel suo memoriale di autodifesa (11), dove parla benissimo dei suoi soldati!
I Tedeschi, con loro grande sorpresa, occupata la capitale, troveranno i depositi militari stracolmi di quelle munizioni e di quella benzina che Carboni chiedeva disperatamente.
Visibilmente seccati, Taylor e Gardner, mandando tutti al diavolo e senza tante anticamere si presentarono davanti a Badoglio nella tarda serata.
Badoglio ricevette i “cow-boys” in ciabatte e pigiama, era già andato a dormire. Taylor restò stupito dello stato confusionale in cui si trovava il capo del governo e del suo evidente di panico, quasi paura fisica, quando parlava dei Tedeschi, Badoglio implorò un rinvio della data di annuncio dell’armistizio.
Taylor rispose che l’indomani, Eisenhower avrebbe annunciato l’armistizio, fecero armi e bagagli e tornaro in Sicilia come un razzi, trasmettendo il messaggio "Situation Innocuos", che significava l'impossibilità, da parte italiana, di difendere Roma. L’aviosbarco fu annullato all’ultimo momento, con i paracadutisti già sugli aerei.
Ambrosio fu subito avvertito della presenza del Generale Americano a Roma, ma si guardò bene dal rientrare nella Capitale e rinunciare a curare il suo trasloco. Considerato che disponeva di un aereo personale, volendo in quattro ore avrebbe potuto essere di nuovo a Roma, scelse invece di muoversi in treno rientrando quando gli Americani erano già spariti, disgustati di quanto avevano visto.
La partenza di Taylor e Gardner, lasciò il panico assoluto.
Non si disponeva di nessun piano ne militare ne politico, Badoglio non aveva un “piano di fuga” così anche il Re e gli altri ministri del giro badogliano. Temevano per la loro vita, erano sicuri che i Tedeschi l’indomani li avrebbero giustiziati tutti, nessuno escluso. Badoglio pronunciava frasi sconclusionate in dialetto e mimava continuamente con la mano il taglio della gola.

Siamo all’ 8 settembre 1943:

03.00, Badoglio invia un telegramma ad Eisenhower implorando di spostare la data ufficiale dell’armistizio al 12 Settembre.
09.00, viene avvistato un imponente convoglio alleato a metà distanza tra Palermo e Napoli, si tratta dell'operazione "Avalanche" lo sbarco a Salerno. L’Ammiraglio De Courten ordina una già prevista missione "suicida" delle Regia Marina, per bloccare il convoglio, la missione era stata promessa a Doenitz, comandante della Kriegsmarine, pochi giorni prima.
10,00, Ambrosio ordina a De Courten di annullare la missione e aspettare.
14,00, dai campi di volo Alleati in Africa, si comincia ad armare e rifornire, circa 500 bombardieri pesanti. Gli equipaggi nel briefing sono informati che il loro obbiettivo è Roma. Il decollo è previsto per le 20.30.
16,00, Eisenhower risponde risponde al telegramma di Badoglio con un secco ultimatum: ordina di annunciare alla radio l’armistizio entro le 20.00 dello stesso giorno, altrimenti riterrà il documento firmato il giorno 3 da Castellano, carta straccia. Aggiunge la promessa di una immediata e pesante azione militare su Roma.
16,30, Eisenhower passa alla Reuter la notizia dell’armistizio.
17,00, La Reuter batte la notizia.
17,30. Radio New York diffonde l’annuncio per Radio negli Stati Uniti
18,00, convocazione di un concitato consiglio della corona, sono presenti: Vittorio Emanuele III, Badoglio, Acquarone, Sorice e De Courten (questi ultimi due ignorano tutto riguardo armistizio e trattative!), Ambrosio e Carboni.
E’ presente in qualità di stenografo e di lettore, il Maggiore Marchesi. Pur essendo in ufficiale di rango inferiore, partecipa al consiglio come lettore e traduttore degli accordi presi con gli Alleati. Questo ufficiale, a mio parere, quel giorno ha evitato una catastrofe di dimensioni immani.
Parla subito Carboni e chiede di ricusare l’armistizio, di dare la colpa di tutto a Castellano che si è “inventato tutto”, e rinegoziare l’accordo! Badoglio accusa gli americani di tradimento, di non aver rispettato i patti (?!), di aver anticipato la data (la realtà del documento di Quebec, pure quello sottoscritto da Castellano era diversa, se Badoglio o il Re si fossero degnati di leggerlo, le cose sarebbero andate diversamente n.d.r.) . Il Re sembra accettare la tesi di Carboni, Ambrosio è terreo e muto, come Sorice e De Courten. La assurda proposta di Carboni sembra prevalere, il Re sembra propenso ad accettarla. Marchesi cerca di leggere il documento di Quebec, poi perde la pazienza e salta su urlando. Ottiene il silenzio e dice che l’unica cosa sensata da fare è stare ai patti, tanto più che la firma di Castellano era stata fotografata e filmata, quindi ampiamente documentabile.
“…volete subire prima la rappresaglia americana e poi quella tedesca? Adesso siamo di fronte a una catastrofe, vogliamo anche il disonore più completo?.....”(10)
19,00, Badoglio decide di redigere e leggere alla radio un comunicato, si scopre che Carboni non ha provveduto a preparare al Quirinale il microfono collegato con l’EIAR, di fretta Badoglio monta in una macchina e arriva alla sede dell’EIAR.
19,10, Giunto alla sede dell’EIAR in borghese e nascosto da un cappello floscio, Badoglio insieme allo speaker ufficiale Titta Arista registra con voce abbastanza ferma il comunicato dell’armistizio. Attende in tutta calma che termini un programma di musica leggera prima di mandare in onda il disco registrato.
19,42, Il disco viene mandato in onda: “Il Governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle Forze alleate anglosassoni. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse, però, reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”. Il comunicato, verrà ripetuto nelle ore successive ogni 10 minuti.
20,00, Eisenhower annulla la missione di bombardamento su Roma.
21,00, Badoglio trasmette ad Hittler questo comunicato: "Nell'assumere il Governo d'Italia al momento della crisi provocata dalla caduta del Regime Fascista, la mia prima decisione e il conseguente primo appello che io rivolsi al popolo italiano fu di continuare la guerra per difendere il territorio italiano dall'imminente pericolo di una invasione nemica. Malgrado ogni nostro sforzo ora le nostre difese sono crollate. La marcia del nemico non ha potuto essere arrestata. L'invasione è in atto. L'Italia non ha più forza di resistenza. In queste condizioni il Governo italiano non può assumersi più oltre la responsabilità di continuare la guerra che è già costata all'Italia, oltre alla perdita del suo Impero coloniale, la distruzione delle sue città, l'annientamento delle sue industrie, della sua marina mercantile, della sua rete ferroviaria, e finalmente l'invasione del proprio territorio. L'Italia, ad evitare la sua totale rovina, è pertanto obbligata a rivolgere al nemico una richiesta di armistizio"(10)

Poco dopo la mezzanotte del giorno 9, Roatta, Ambrosio, Badoglio e la famiglia Reale, si trasferirono dal Quirinale al ministero della guerra in via XX Settembre, ritenuto più sicuro, perché disponeva del miglior rifugio antiaereo della Capitale. Giunsero le prime frammentarie notizie di slegate e deboli azioni tedesche nella zona dell’EUR, non fu tuttavia emanato l’ordine di attuare l’Op44, Roatta si limitò ad emanare un fonogramma molto generico: “…ad atti di forza reagire con atti di forza…”(3)
Alle tre di notte Roatta ricevette la falsa notizia che ingenti forze tedesche avevano completato l’accerchiamento della Capitale.
Alle cinque del mattino Roatta consegnò a Carboni un ordine scritto a matita nel quale gli concedeva pieni poteri per quanto riguardava la difesa di Roma e dava ordine di ripiegare su Tivoli.
Un quarto d’ora dopo, un corteo di auto con a bordo la famiglia Reale, Badoglio e Roatta, abbandonò Roma verso Pescara, il Governo e lo Stato Maggiore si lasciavano la Capitale senza lasciare nessun tipo di disposizione, ne politica ne militare sul dafarsi, ciascuno per se, Dio per tutti.
Ma gli affari personali seppero farseli benissimo: Badoglio ebbe il tempo e la calma di trasferire alla sede di Bari della Banca d’Italia la somma di 162 milioni di lire per le esigenze del futuro governo. Inoltre nei primi giorni di settembre aveva fatto trasferire la famiglia in Svizzera e insieme a loro anche una decina di milioni su un conto di una banca svizzera sottratti ai fondi della presidenza del consiglio. E come lui Acquarone, Ambrosio ed altri comandanti maggiori.

Così il giornalista romano Paolo Monelli, nel suo libro “Roma ‘43’, descrisse la situazione nella capitale:"La mattina del 9 settembre Roma si trovò avvolta dalla battaglia. Si udiva un violento fuoco di mitragliatrici, di bombe a mano, di mortai, dalle parti di via Ostiense e della via Cassia, ed un continuo rombo di cannoneggiamento lontano. La gente era tutta per le strade, curiosa, incerta. Le ultime parole dell'annunzio di Badoglio erano state intese dal popolo per quello che volevano dire, che ora c'era solo un nemico per l'Italia, ed era il nemico antico, sempre sentito tale anche durante l'innaturale alleanza, il tedesco. Non ci si meravigliava quindi di quel fragore di combattimenti; ci si augurava anzi che la battaglia ci fosse, che cacciasse i tedeschi dalla capitale. Giovani animosi, uomini dai capelli grigi con lo scudetto di combattente dell'altra guerra all'occhiello, si trovarono in casa un fucile e corsero dalle parti di San Paolo a dare man forte ai granatieri ed ai lancieri che sulla Ostiense con tranquillo coraggio sparavano contro i tedeschi che cercavano di penetrare in città provenienti da Fiumicino, da Ostia, da Pratica di Mare. ..."

Il corteo dei “profughi” fu aperto dalla Fiat 2800 del Re con le insegne in bella mostra, dove oltre al suo autista presero posto la Regina, Puntoni ed il Tenente Colonnello De Buzzacarini,.
Subito dopo altre due auto, con Badoglio, Acquarone, Valenzano e il Principe Umberto.
Badoglio aveva fatto due un vistosi risvolti sul suo pastrano militare per nascondere i gradi di Maresciallo d’Italia ed invitò il Principe Umberto a fare altrettanto.
Queste tre vetture erano scortate da due Autoblindo.
Come alla partenza di un rally, altre vetture si mossero al loro seguito con a bordo svariati ufficiali di Stato Maggiore.
A metà del percorso la vettura di Badoglio si guastò, Umberto che viaggiava da solo, prese a bordo Badoglio, Valenzano e Acquarone, ed espresse il desiderio di tornare a Roma, al suo posto di comando. Badoglio lo freddò con questa frase: “Lei porta le stellette e mi deve obbedienza, salga in auto.”
Nel pomeriggio la comitiva giunse all’aeroporto di Pescara, da Zara stava arrivando la corvetta ‘Baionetta’ che sarebbe giunta al porto di Pescara intorno alle 23.00, da Taranto l’incrociatore ‘Scipione l’Africano’ e la corvetta ‘Scimitarra’, l’arrivo di queste due ultime unità era previsto per la tarda mattinata del 10.
La popolazione non gradiva gli ospiti e si stava già organizzando qualche manifestazione, fu quindi deciso di evitare il porto e di imbarcarsi dal più decentrato molo di Ortona a Mare a mezzanotte in punto.
Il luogo e l’ora d’imbarco dovevano rimanere segreti, ma qualcosa doveva essere trapelato, e sul molo di Ortona, a mezzanotte, il Re che pensava di essere solo, trovò sulla banchina una folla composta da oltre 250 generali e ufficiali di Stato Maggiore con attendenti, portaborse, familiari e carabattole al seguito.
Roatta era in borghese con un MAB a tracolla e arringava la folla.
Badoglio aveva pensato bene di dare l’ordine di far partire un falso allarme antiaereo, quindi la popolazione era rintanata nei rifugi.
Appena la bettolina della ‘Baionetta’ giunse al molo, si scatenò l’unica battaglia a cui quei soldati da scrivania avessero mai partecipato. L’assalto fu una scena indegna, Umberto dovette spintonare e urlare “largo alla famiglia Reale” per imbarcarsi insieme ai genitori, Badoglio, con grande sorpresa di Vittorio Emanuele, era già a bordo, si era prudentemente imbarcato mezz’ora prima a Pescara.
Fra battibecchi e trattative squallide e umilianti, Roatta scelse 57 “eletti” che furono imbarcati sulla corvetta, agli altri furono promesse due navi per il giorno successivo.

La battaglia era finita, l’alba del 10 settembre illuminerà il molo di Ortona e i resti della lotta, ma al posto di elmetti, corpi di soldati e fucili spezzati, appariranno solo resti di falò di carte e documenti, cartacce unte che dovevano aver contenuto cibo, e cumuli di uniformi e pastrani carichi di stellette e nastrini che non si era riusciti a distruggere.
Le navi che arriveranno all’appuntamento, non troveranno nessuno da imbarcare.

Si dice che Badoglio, Roatta e la famiglia reale, avessero barattato con i tedeschi la loro incolumità personale: Kesserling avrebbe avuto Roma in cambio di un “viaggio tranquillo”.
Tale ipotesi è viene avanzata in base a due fatti:
• Il corteo di limousine partì verso Pescara prendendo la Via Tiburtina, percorsa in lungo e largo da truppe tedesche, furono fermati tre volte e per tre volte bastò che l’autista dicesse “Ufficiali Generali” per essere lasciati proseguire
• Una volta imbarcati sulla “Baionetta”, essa fu seguita come un’ombra da un ricognitore tedesco, e il Re e la Regina filmati e fotografati seduti tristemente a poppa su due sdraio. La corvetta non subì nessun tentativo di attacco da parte dei tedeschi.
Queste sono mere considerazioni non avvalorate da nessun documento, la riporto per dovere di cronaca, per uno storico il “si dice” equivale ad un pettegolezzo.
I tedeschi avevano l’intenzione di catturare governo e Famiglia Reale, ma per mare non avevano la possibilità materiale di farlo, è più plausibile che abbiano seguito la corvetta fino a quando è stato loro possibile, per mare erano molto deboli, le loro possibilità di azione quasi nulle.
Il corteo non fu fermato per terra perché il giorno 9 c’era molto Caos da una parte e dall’altra, ricordo che le prima azioni militari tedesche intorno a Roma furono molto slegate e non all’altezza della fama dei soldati della Wermacht.
Riguardo il comportamento di Badoglio e Ambrosio, può essere lecito parlare di “fuga”, uno dei due avrebbe dovuto rimanere al suo posto.
Riguardo al Re, bisogna considerare che rappresentava per il popolo il simbolo dell’unità nazionale (i marinai della “Roma” morirono gridando “Viva il Re!”). Si comportò più o meno come avevano fatto altri Reali o Capi di Stato prima di lui, messi di fronte a circostanze analoghe : la Regina Guglielmina d’Olanda si rifugiò in Inghilterra, il Re Alberto I del Belgio si trasferì nel Congo Belga, il Re e il Governo greci ripararono in Sudafrica , il Gen. De Gaulle e il Governo della “Francia libera” si trasferirono a Londra, Stalin con i tedeschi alle porte di Mosca si trasferì con il suo governo a Sveldrowsk, negli Urali.

I titoli dei giornali del 9 Settembre 1943.
La ‘Stampa’:
“La guerra è finita.” (1)
Il ‘Corriere della Sera’:
“Armistizo. Le ostilità cessate tra l’Italia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti.” (1)
Il ‘Messaggero’:
“E’ stato concluso l’armistizio con gli Angloamericani.” (1)
Il ‘News Chronicle’:
“Italy surrenders, unconditionally. Britain, US, Russia approved armistice terms, Badoglio tells Italians: We oppose attack from any other quarter”. (L’Italia si arrende senza condizioni. Inghilterra, Stati Uniti, Russia approvano i termini dell’armistizio, Badoglio dice agli Italiani: ci opporremo ad attacchi da qualsiasi altra provenienza) (1)


1. AA.VV. - I Grandi Fatti (Fac-simile dei giornali citati)– Edipem (1975)
2. Denis Mack Smith – I Savoia Re d’Italia – Bur (1993)
3. Cervi-Montanelli – L’Italia del Novecento – Bur – (1995)
4. Arrigo Petacco – Fucilate quel Fascista, vita spericolata di Ettore Muti – Mondatori (1990)
5. R. S. Sherwood - La seconda guerra mondiale nei documenti segreti della Casa Bianca - Garzanti (1980)
6. Antonio Spinosa – Mussolini, il fascino di un dittatore - Mondadori (1990)
7. Dino Grandi. -Il mio paese. Ricordi autobiografici a cura di Renzo De Felice.- Il Mulino (1985)
8. Domenico Quirico – Generali – Mondatori (2006)
9. Castellano G. – Come firmai l’armistizio di Cassibile – Mondadori (1945)
10. AA.VV. – Storia della Seconda Guerra mondiale – Purnell-Rizzoli
11. Carboni G. – L’armistizio e la difesa di Roma – Universale de Luigi (1945)
12. S.Bertoldi – Il regno del Sud – BUR (2003)

 

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