| Ho avuto l’occasione di conoscere il signor Mario C., autiere del Regio Esercito Italiano durante la Seconda Guerra Mondiale. Il signor Mario appartiene a quella categoria di persone che ispirano simpatia a prima vista: uno sguardo acutissimo e vivace che illumina un volto aperto e sorridente. Non appena gli ho parlato del nostro sito, del nostro hobby e della passione che nutriamo per la storia, ha immediatamente manifestato il proprio apprezzamento ed interesse. Ho raccolto le sue testimonianze, relative al periodo bellico 1940-1945. |
D.: Signor Mario, a quale reparto apparteneva? Ero di stanza in Albania, autiere della
“36ma Sezione Ambulanze”. La Campagna di Grecia fu davvero dura. Si riposava nelle brande, disposte all’interno delle nostre
“SPA 38 Ambulanza” e a volte negli attendamenti dell’ospedale da campo. Quando i greci puntarono verso Pogradec, il comando ci ordinò di dirigerci verso un’altura che sovrastava la città albanese, sulla quale era installato un deposito della sussistenza. L’urgenza della situazione e l’insufficienza di mezzi di trasporto costrinse a utilizzare anche le nostre autoambulanze per il recupero di viveri e materiali.
Terminate le operazioni belliche sul fronte greco, attraversammo dei momenti più tranquilli. Insieme al mio commilitone Luigi, facevamo la spola tra Coriza e Tirana, lungo un percorso obbligato che toccava la sponda occidentale del Lago di Ocrida. Ricordo che un giorno, sulla strada del ritorno, decidemmo di variare l’itinerario. Invece di dirigerci come di consueto verso Pogradec, scegliemmo di costeggiare la sponda orientale del lago, quella che oggi appartiene alla Repubblica di Macedonia. A Ocrida, durante una sosta, incontrammo un gruppo di ufficiali bulgari. Quando videro le nostre armi di ordinanza, delle
“Beretta”, rimasero praticamente estasiati. I bulgari non esitarono a offrirci merce e denaro in cambio delle pistole ma tenemmo duro.
D.: Terminata la Campagna di Grecia, l’unità lasciò i Balcani. Dove foste destinati? Sì, dopo vari spostamenti fummo trasferiti in Sardegna. Passarono alcuni mesi senza eccessivi affanni, poi giunse notizia dell’armistizio. Fummo imbarcati su una nave da trasporto diretta a Napoli. Viaggiammo con il conforto dei viveri, è proprio il caso di dirlo, poiché sulla medesima nave erano state caricate anche moltissime forme di pecorino. Ne facemmo man bassa.
Giunti in Campania, il mio reparto (sempre lo stesso) fu aggregato al
Corpo Italiano di Liberazione che combatteva contro i tedeschi sulla costa Adriatica agli ordini del Generale Umberto Utili. Venne a farci visita il Luogotenente Generale del Regno Umberto II di Savoia, il quale mi chiese personalmente di vedere il mio comandante, Giuseppe Gerosa Brichetto, Capo Ufficio Sanità nello Stato Maggiore.
D.: Mi può parlare diciò che avvenne a Corinaldo? Certo. Era piena estate, i primi di agosto. A Corinaldo nelle vicinanze di Jesi, perse la vita il sottotenente Alfonso Casati del battaglione
“Bafile”, anch’esso inquadrato nel
“CIL”. Si trattava del figlio del Ministro della Guerra, Alessandro Casati. Era necessario recuperare la salma dell’ufficiale. Andai io, assieme a due altri soldati di Sanità con la bandiera della Croce Rossa. Lasciammo l’autoambulanza e proseguimmo a piedi, non senza pericolo poiché per raggiungere il corpo di Casati fummo costretti ad attraversare un campo minato e ad avvicinarci moltissimo alle linee tedesche.
C’era il timore che i tedeschi potessero spararci addosso nonostante recassimo le insegne internazionali della Croce Rossa. Percepivamo la loro presenza, li sentivo vicinissimi a qualche decina di metri, ci osservavano. Nonostante tutto essi rispettarono la tregua e ci consentirono di adempiere al nostro compito. Riportammo indietro il povero Casati e il suo corpo riposò per una notte all’interno dell’ambulanza. Mi proposero per un encomio ma purtroppo non l’ho mai ricevuto.
D.: La guerra doveva durare ancora a lungo. Cosa successe nei mesi seguenti? Al termine delle operazioni nelle Marche, il
“CIL” fu sciolto e ci trasferirono a Piedimonte d’Alife. La guerra continuava e dovevamo tornare in linea. Prima di essere nuovamente impiegati al fronte passammo però dei gradevoli momenti. Ricordo con piacere il periodo trascorso nel castello e nella tenuta del Barone Ricasoli, nel Chianti. Nella primavera del 1945 il gruppo di combattimento “Legnano” si schierò negli appennini a sud di Bologna. Avevamo in dotazione nuovi equipaggiamenti. La cara vecchia ambulanza
“SPA 38” era stata sostituita dalla britannica
“Austin” che però non era facilissima da guidare: lo sterzo era durissimo e bastava un attimo di disattenzione per finire fuori strada. Sfondate le difese tedesche, ci stavamo avviando rapidamente verso la pianura padana. Io non entrai con gli altri reparti a Bologna ma quando la sezione ambulanze di cui facevo parte si avvicinò al mio paese, Cortemaggiore, chiesi al mio comandante una licenza per poter tornare a salutare la mia famiglia. Gli dissi che troppo tempo era trascorso dall’ultima volta, che non vedevo i miei cari da anni e così ottenni il permesso. Saltai sulla mia
“Austin” e raggiunsì Cortemaggiore. Una volta sul posto riconobbi dei conoscenti ai quali chiesi subito notizie di mia madre. Dopo avermi salutato mi dissero che l’avevano vista incamminarsi lungo la strada che portava al cimitero del paese, quindi mi precipitai a bordo del mio veicolo in quella direzione. Vidi mia madre e la chiamai. Quasi svenne dallo stupore, “Mario! Sei tu?” mi chiese. Finalmente potei riabbracciarla. Quando tornai indietro il mio reparto però non c’era più poiché si era spostato ancora più a nord a causa dell’avanzata. Fortunatamente riuscii a colmare le distanze e a riunirmi ad esso.
D.: Quando fu congedato? Il congedo arrivò a Brescia, ultima tappa di un percorso durato tanti anni. Poco tempo dopo mi stabilii dai miei zii a Milano, dove trovai lavoro. Alla Montecatini di Linate ebbi persino l’occasione di rivedere il mio comandante, Giuseppe Gerosa. Rimasi molto dispiaciuto quando seppi della sua scomparsa. Era un uomo di assoluto valore. Ho sempre nutrito il desiderio di poter reincontrare i miei commilitoni e ancora oggi conservo in un foglio tutti i loro nomi.
Grazie, signor Mario.
Immagini: in alto un'autocarro Spa 38 ambulanza, in fondo il simbolo del Corpo Italiano di Liberazione